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CENTRIC JONES: THE ANTIKYTHERA METHOD

data

26/09/2012
86


Genere: Experimental Progressive Rock
Etichetta: Progrock Records
Distro:
Anno: 2012

Il progetto dei Centric Jones nasce circa cinque anni fa dalle menti di due polistrumentisti statunitensi, tali Chris Fournier e Tobe London, due amici che decidono di comune accordo di mettere assieme le proprie influenze musicali per costruire qualcosa che potesse esprimere al meglio il loro concetto di musica "totale", manipolando a modo loro diverse influenze legate alla musica sperimentale e progressiva degli anni '70, che in questo disco sembra materializzarsi come se niente fosse. La particolarità di questo lavoro (presentato con un'artwork in stile Roger Dean) è che non presenta brani accomunati da una precisa linea narrativa (tipica, se vogliamo, del progressive stesso), ma che al contrario mette a disposizioni tanti piccoli quadretti di pura e semplice musica sperimentale, cesellati da uno stile che raccoglie un buon numero di influenze musicali diverse. Il duo statunitense, infatti, mette assieme sonorità derivanti dalla psichedelia, dallo space rock, passando anche dall'elettronica, dall'hard rock e dal jazz, cucendole e mettendole assieme quasi con un approccio tipico di certa musica sperimentale tedesca di inizio anni '70 (vedasi tutto il filone del Krautrock tedesco). Il brano iniziale, "Crushed", stupisce per le sue atmosfere eteree e pseudo fantascientifiche, con delle note di chitarra acustica semplici e percussive dove puntualmente si inserisce la voce spettrale e avvolgente di Laurie Larson (special Guest del disco), presente anche nella successiva "Shadow Song", un brano che inizia mischiando pop ed elettronica per poi svilupparsi attraverso intrecci poderosi tra chitarra elettrica e batteria, sorretti a più riprese da atmosfere particolarmente sfuggenti. "All For One" è quasi commovente nella sua alternanza tra arrangiamenti pianistici quasi ambient con altri leggermente più jazzati dove man mano che il brano prosegue la chitarra elettrica prende piede in maniera mai invasiva, riuscendo sempre ad inserirsi in maniera egregia tra gli arrangiamenti, mentre con "Boomer" il duo esplora territori più riconducibili all'hard rock, trattati però con una buona dose di elettronica. Il resto dei brani è davvero imprevedibile e molto sperimentale, con un sound pressochè unico e di difficile catalogalizzazione che cambia continuamente pelle e umore (come in "Dream In Threes", ad esempio, che inizia con delle sonorità quasi space doom, per poi abbandonarsi in sonorità molto più morbide e rarefatte). Un lavoro piuttosto personale e di difficile ascolto, quindi, dove i due polistrumentisti riescono a ricreare delle atmosfere assolutamente fuori dagli schemi che con il passare degli ascolti crescono avvolgendo l'ascoltatore.

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