ALTA REIGN: Mother's Day
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01/05/2021'Mother's Day' è l'album di debutto degli Alta Reign, un gruppo fondato da Jeff Plate (tra gli altri, ex Savatage, Trans-Siberian Orchestra e Metal Church), ma raccoglie materiale di origine alquanto eterogenea. La maggior parte dei brani, infatti, sono stati scritti da Jeff insieme a Matt Leff quando suonavano insieme nei Wicked Witch Of Boston (band in cui aveva militato pure Zak Stevens prima di entrare nei Savatage), quindi parliamo di roba di circa trent'anni fa. L'intenzione era di recuperare prima o poi questo materiale, ma la scomparsa prematura di Leff (avvenuta nel 2019) ha complicato ulteriormente le cose. Alla fine Plate ha ripreso i brani, avvalendosi della collaborazione di Tommy Cook e Colin Holloway per riscrivere e riarrangiare i pezzi, coinvolgendo poi altri musicisti, tra cui Jane Mangini, che con lui aveva suonato già nella Trans-Siberian Orchestra. Si tratta dunque di un disco piuttosto vario, nel quale convergono certamente in parte influenze dei gruppi in cui ha militato Plate: già i primi brani presentano riff che ricordano parecchio i Savatage e tra i vari guest nel corso del disco ritroviamo pure lo stesso Chris Caffery, che suona un assolo nel brano "Rise". In realtà, la band sembra però perlopiù orientarsi verso un metal melodico o dalle tinte hard rock, con influenze di certa tradizione americana che rimanda ad esempio ai Blue Oyster Cult, probabilmente più nelle corde di Cook e Holloway. Diverse tracce sono caratterizzate dunque da refrain melodici, con efficaci coretti e un mood leggermente malinconico, come nel caso di "Thin Red Line", "Never Say Never" o "Immortal", ma in certi casi si presenta più decisa un'impronta alquanto ottantiana, come nel caso ad esempio di "Come Out And Play" (d'altronde, come accennato, molte canzoni sono state concepite appunto tra fine anni '80 e inizi '90). Si avvertono tuttavia anche precisi echi settantiani, come avviene nella titletrack o in "Let's Go! (I'm In Charge Now)". In altre tracce, emerge persino una vena metal progressive: in tal senso, potremmo citare la stessa titletrack e la già menzionata "Rise", un brano che supera gli otto minuti e mezzo di durata, alternando tempi lenti e lineari con passaggi strumentali più complessi. C'è poi anche un'autentica ballata, "Always", proposta peraltro in doppia versione (una con il piano e una con la chitarra acustica) e un paio di brevi strumentali, "ESC (Escape)" e "Passage". Come dicevamo in apertura, si tratta di un disco dove si avverte il background di Plate, ma che allo stesso tempo in qualche modo finisce per prendere altre direzioni, tanto che, in tutta sincerità, ci saremmo aspettati qualcosa di diverso. Un disco che suona magari eterogeneo, talvolta un po' retrò e con qualche traccia non proprio imprescindibile, ma nel quale tutto sommato, dopo un po' di ascolti, si riesce a individuare un marchio di fabbrica nel quale si possono ricondurre la maggior parte dei brani: potrebbe essere interessante scoprire che direzione artistica potrebbe prendere il progetto se Plate dovesse optare per dare un seguito a questo primo album, purchè, chiaramente, stavolta riesca a gestire tutto con ben altre tempistiche realizzative.
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