ORANGE GOBLIN
A distanza di un anno dalla performance allo Stoned Hand Of Doom VII, il quintetto londinese torna a mettere k.o. la capitale, accompagnati dai romani Helligators e dagli Zippo da Pescara. In mezz'ora sfoderano una prova soddisfacente, dove a garantire il puro divertimento sono i riff di matrice southern, heavy e thrash sparati in faccia uno dopo l'altro. Immancabile il singolo "Snake Oil Jesus", dimostrazione di una band che sa cavarsela divertendosi, e prendendo prepotentemente il posto tra le file di gente come Southern Drinkstruction, Carcharodon e compagnia bella. Goliardia e buona musica, diretti e senza troppe pretese: i brani si ficcano in testa sin dai primi secondi. Poco tempo a disposizione ? Neanche tanto: in una serata come questa, è quasi il giusto tempo necessario per riscaldare gli animi dei presenti. Ben fatto, quindi: qualcuno si lascia andare, non c'è modo di fuggire a ritmi così, figuriamoci più tardi con quelli degli headliner. Tornati dallo Stick & Stone Fest in Austria, gli Zippo confermano il loro stato di grazia, attraverso una setlist che esplora ovviamente tutti e tre i loro dischi in studio. Improvvisamente sul palco i tre cominciano a scandire le note pazze di "Crazy Forest", che sfocia in men che non si dica prima in un polverone di distorsioni poi in un'atmosfera più pacata. Le cinque corde vengono appena sfiorate, e Davide può cominciare a scaldarsi la voce dimenandosi sul palco sugli affondi finali. Il video del report può quantomeno rendere l'idea anche della seguente ritmata "Forgotten Season", altra traccia presente nell'esordio. Per certi versi, sembra di aver assistito a due concerti differenti, complice l'anima più orientata sullo stoner classico dei quattro brani estratti dal primo album, e poi un momento più particolare, intenso e ricco di sfumature, definito dalle altre quattro tracce scelte per forgiare i 40 minuti a disposizione. Dopo i primi due brani, si passa a "The Omens", e "Caravans To Your Destiny", che dischiudono, a tratti, l'anima quasi Tool-iana delle chitarre, e la voce carismatica di Davide. Piacevole e trascinante "Kid In The Desert", di matrice Kyuss che col suo ritmo diverte e fa muovere i presenti. Il numero degli stessi, tra le tante cose, comincia ad aumentare man mano. Ritmi più forsennati con "El Enyerbado", la scheggia del lotto e momenti di pura liberazione catartica con "The Personal Legend" e la conclusiva pachidermica "The Elephant March". Impressione generale? Ottima. Innocui problemi al microfono ma show grandioso, brani soddisfacenti sia in studio che dal vivo, e una vena melodica che colpisce inaspettatamente, nonostante le continue insistenze sui riff roventi che Alessandro e Francesco macinano. Gli Zippo sono promossi, impiegano perfettamente il tempo a disposizione con un sound maturo e personale, frutto di dieci anni di esperienza. Quasi il doppio se ne porta alle spalle il quintetto londinese, autore di sette album e di un live "A Eulogy For The Fans", pubblicato l'11 marzo di quest'anno (e seconda "insolita" uscita sotto Candlelight, visto che da anni erano sotto la mitica Rise Above). Al Traffic comincia a farsi sentire il caldo in modo ancora più pesante. Si soffoca, si respira bene soltanto fuori, ma fuori, non non ci vuole stare nessuno perché appena partono le note di "The Filthy & The Few" è delirio totale, opener accompagnata senza fermarsi prima da "Made Of Rats" poi dalla velenosissima "Acid Trial"., tratta dal disco più recente. Dal vivo il riff di questo brano è ancora più bastardo, e come volevasi dimostrare manda i presenti in tilt. La musica è divertimento, delirio, è il dimenticare ogni pensiero che abbiamo alle spalle e ritagliarsi la propria fetta di follia. Lo stoner/doom degli Orange Goblin tira fuori il meglio e il peggio degli spettatori. L'esaltazione totale è raggiunta, ma sono passati solo pochi minuti. Pestaggio totale con l'inno "Some You Win, Some You Lose", e momenti di pura follia tra wall of death improvvisate, cori emozionanti (si, emozionanti) a dimostrazione che, senza ombra di dubbio, il pubblico italiano è quello migliore quando si tratta di far sentire alle bands la propria presenza. Il viaggio continua con brani più sostenuti e altri meno, ma sempre grandiosi, come in "Time Travelling Blues", uno dei momenti più belli della serata. Il quartetto non risparmia nessuno, è vero allora che dal vivo sono meglio che in studio ? Si, confermiamo. Le chitarre passano dagli stacchi blues alle sferzate vittime degli Slayer (They Come Back (Harvest Of Skulls), fino al loro tipico folgorante stoner che trova espressione più perfetta nell'encore finale. Ritornano sul palco e regalano altri tre pezzi, tratti rispettivamente da Healing Through Fire (2007) e The Big Black (2000). Un bel tuffo nel passato che ci assicura un altro quarto d'ora di musica. Finale sinonimo di devasto con "Scorpionica" per chi scrive brano da pelle d'oca, regala un paesaggio fatto di pazzi scatenati che cantano ogni singola parola, altri che si lanciano dal palco, e chi invece preferisce alzare le braccia e le corna al cielo per forgiare definitivamente una serata riuscita al 100%. Bestiali. Helligators SETLIST: - Doomstroyer - Tattooeed Killer / Scream - She Laughs - Southern Cross - Snake Oil Jesus Zippo SETLIST: - Crazy Forest - Forgotten Season - The Omens - Caravan To Your Destiny - Kid In The Desert - El Enyerbado - The Personal Legend - The Elephant March Orange Goblin SETLIST: - The Filthy & The Few - Made Of Rats - Acid Trial - Saruman's Wish - The Fog - Some You Win, Some You Lose - The Ballad Of Solomon Eagle - Cities Of Frost - Stand For Something - Getting High On The Bad Times - Time Travelling Blues - Your World Will Hate This - Red Tide Rising ENCORE: - They Come Back (Harvest Of Skulls) - Quincy The Pigboy - Scorpionica
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