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BEASTFEST

Portato in Italia dalla sempre attenta e sempre più tentacolare Hellfire, approda anche nel nostro paese il Beastfest, ennesimo package metalcore sulla falsariga dei mini festival che ormai, in tempi di crisi, sembrano essere all’ordine del giorno. Stavolta tocca ai Caliban, sempre più celebri, capitanare un package che è riuscito a portare al New Age un bel po’ di persone. Ad aprire ci pensano gli AFTER THE BURIAL, che uniscono metalcore più tradizionale ad aspetti più tecnici e progressivi in stile Meshuggah; i suoni sono ottimi, la proposta a mio avviso un po’ meno, e la band, anche grazie ad una presenza scenica quasi nulla, strappa solo qualche applauso poco convinto. Seguono gli EMMURE. Ora, comporre brani esclusivamente costituiti da breakdown è come far guidare una macchina ad un cieco; magari è anche divertente per un paio di minuti, ma il tutto si risolverà in un disastro, a meno che non si stia parlando di una band parodia. Purtroppo gli Emmure sono serissimi, e tra proclami east coast e appunto breakdown a iosa mietono vittime tra il pubblico, entusiasta a dir poco. E chi sono io per criticare? Ero molto curioso invece di vedere i MAROON dal vivo, che su disco mi hanno sempre colpito favorevolmente; ed effettivamente i nostri ce la mettono tutta, peccato che il risultato sonoro sia più simile ad un fruscio che a una band che suona; ma di certo non è colpa loro, e chi era sotto il palco si è potuto godere brani eccellenti come (Reach) The Sun, Stay Brutal e This Ship Is Sinking. Da rivedere con suoni decenti. Molte persone (la maggioranza, credo) sono al New Age solo per loro, i SUICIDE SILENCE, rivelazione deathcore di un paio di anni fa e da allora in costante ascesa, c’è da dire meritevolmente. Il concerto di stasera poteva confermare la caratura della band, o smascherare impietosamente l’ennesima macchina da merchandise col pubblico frangiato. Per la gioia di tutti, l’ipotesi verificatasi è stata la prima. Il concerto dei Suicide Silence è stato forse il più devastante che abbia visto quest’anno, con una band in formissima, compatta e che unisce al meglio il metalcore al death metal con gli anfibi (sia in fatto musicale che di immagine). Con brani da incorniciare, ricchi di linee semplici ma efficaci (Wake Up, Unaswered, No Pity For The Coward, Disengage, Bludgeoned To Death), Garza e soci hanno spaccato il culo. Poveri Caliban; chiunque si cagherebbe addosso a suonare dopo di questi qua. E infatti, forse per l’ora tarda, forse per altri motivi, svariate persone se ne vanno. Il numero di teste sotto il palco resta buono però, e i CALIBAN, ormai stelle europee del metalcore (quando li vidi cinque anni fa non gli avrei dato una cicca), possono godere di una produzione da palco con i fiocchi, con luci da paura e suoni altrettanto grandiosi. E la band non è da meno, scaricando sul pubblico il suo metalcore melodico che ormai ha fatto scuola (e che ormai sta cominciando a tirare la corda, diciamolo), dando fuoco alle polveri con Love Song e proseguendo con i brani più celebri della carriera, sia più recenti (24 Years, Caliban’s Revenge, I Will Never Let You Down) che più datati, come The Revenge, It’s Our Burden To Bleed e My Time Has Come. Un concerto breve (dove sono andate a finire The Beloved And The Hatred, I Rape Myself e Goodbye?), ma avvincente, che permette ai Caliban di confermarsi come ottima band. Al futuro ci penseremo.

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