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FIREFEST VI - Day II

REPORT DI Luca "Guario" Guarise (con sentiti ringraziamenti da parte della redazione) Qualche ora di riposo e dopo la super colazione regalataci (ebbene sì, ce l'hanno regalata!) dall'Hilton ci dirigiamo verso qualche centro commerciale e per le vie di Nottingham a caccia di cd ovviamente. Ho recuperato qualche classico che mi mancava a pochissime sterline, ma soprattutto mi sono impossessato del cofanetto degli Abba (per solo quindici sterline!) con ben nove cd. Forse riuscirò ad ascoltarlo tra qualche mese, ma l'importante è averlo sul comodino! Ma è giunta l'ora degli Airrace così ci dirigiamo verso il Rock City (ovviamente non è lo stesso locale della sera prima!). Gli inglesi hanno iniziato da pochissimo ma si capisce subito che sono in forma nonostante tanti anni di inattività; in realtà la band ha fatto qualche data qualche mese fa e si sente... All'appello manca il batterista Jason Bonham ma poco importa. Tutto sommato sono stati una bella sorpresa nonostante il pochissimo tempo a disposizione, non me li aspettavo così carichi. Da notare l'ncredibile somiglianza tra Laurie Mansworth con Andre The Giant, famoso lottatore di Wrestling (LOL). E' arrivato il momento dei The Poodles. Su disco gli svedesi mi piacciono (soprattutto l'ultimo album) senza comunque farmi impazzire. All'ex Lucille furono autori di un godibile concerto, senza però colpirmi troppo. In questo caso, invece, mi hanno deluso notevolmente: la band suona quasi completamente senza basi, mancando della giusta dose di carica e di incisività, in particolare nei cori. Aggiungendo che il nuovo axeman non riesce proprio a convincermi e che Jakob Samuel canta sempre al limite, ne esce una performance piuttosto scialba che mi lascia piuttosto perplesso in vista della data di Arcene. I peggiori del festival. Qualche minuto di pausa e sul palco spuntano i Drive, She Said (Mark Mangold e l'ingrassatissimo Al Fritsch) accompagnati da una band probabilmente messa su negli ultimi giorni. Devo essere sincero, non mi aspettavo granché dal duo americano, ma in fondo sono arrivato a fine concerto abbastanza soddisfatto. La band non era assolutamente rodata e si è sentito in più di qualche occasione, unitamente ai problemi tecnici di Mangold dall'inizio alla fine del concerto; stavolta però sono stati i brani a fare la differenza: tanto per capirci era impossibile restare impassibili a una "Fools Game" di Michael Bolton, per quanto martoriata dagli errori di esecuzione nella prima parte. Per quanto riguarda Fritsch a mio avviso se l'è cavata abbastanza bene nonostante qualche stecca, considerando che non calcava un palco in qualità di singer dal 2001 come ci ha riferito lui stesso dopo averlo incontrato fuori dal locale. Poteva essere meglio certo, l'importante in questo caso sono state le emozioni. La stanchezza comincia a farsi sentire, e decido di seguire solo in parte i Romeo's Daughter. Apprezzo i loro dischi senza che questi mi attraggano alla follia, motivo per cui ho scelto di tenermi fresco per il gran finale. Per quello che ho visto (quattro pezzi) mi sono sembrati un po' privi di carica ma tutto sommato accettabili. Ho visto di molto meglio, ma anche di molto peggio. E per lo stesso motivo citato poche righe fa, salto completamente l'esibizione dei White Sister, anche perché li avevo visti giusto lo scorso anno senza che mi abbiano mai entusiasmato granché. Decido però di raggiungere alcuni miei compagni di viaggio sotto l'Hotel dei Vip alla ricerca di qualche foto. Incontriamo quindi i vari Steve Overland, Leigh Matty (voce dei Romeo's Daughter che si è mantenuta piuttosto bene nonostante il passare degli anni), Mark Mangold (che dopo avergli chiesto perché non scrive più i pezzi per Bolton ci ha detto che lui sarebbe ancora disponibile a farlo se solo Michael lo chiamasse, LOL), Al Fritsch (che ci ha confessato l'imminente inizio dei lavori per il nuovo Drive, She Said) e altri con i quali ci siamo fatti qualche risata. Cala il sole e comincia a farsi freddo, con l'ormai avvenuta incombenza dello show Crown Of Thorns. E' giunto il momento di spostarci all'interno del locale. Jean Beavouir è in buona forma e sulle note dove non riesce ad arrivare va di mestiere; il resto della band ci offre una riuscita prova, il solo Tommy Lafferty (ebbene si è il chitarrista dei From The Fire) non mi è sembrato all'altezza, forse anche per colpa dei bruttissimi suoni delle chitarre. Scaletta accettabile, fortunatamente impreziosita dalla scelta di pescare molteplici brani dal disco omonimo. A tratti ho goduto, ma in definitiva non sono stati niente di eclatante. Siamo giunti alla penultima band ovvero gli Honeymoon Suite, autori di una performance veramente eccezionale e di assoluta classe. La band a differenza di altri è ben rodata e questo fa la differenza: aggiungiamoci una setlist infarcita di classici (ma che razza di brani hanno questi nel loro repertorio?!) e il gioco è fatto. Derry Grehan è un chitarrista con un gusto incredibile e insieme a Johnnie Dee dimostra di essere la vera anima della band. Fino a questo momento i migliori del festival. E' il turno tanto atteso degli FM, evento che causa l'arrivo di spettatori appositamente per loro: tra il pubblico non c'è un buco, il Rock City risulterà alla fine sold-out. Appena Overland apre bocca scorrono i primi brividi (è veramente un cantante eccezionale), ma tutta la band dimostra di essere in possesso di una marcata perizia esecutiva, incluso il nuovo chitarrista, dal tocco particolarmente blues. L'esecuzione dei brani è perfetta, e anche i cori sanno supportare il tutto a dovere. La scaletta forse è invece il punto meno convincente dello show, avremmo infatti tutti apprezzato qualche pezzo in più dai primi due album (e questo nonostante non sono mancati i classici); del resto è andata benissimo così visto che per il sottoscritto è stato tutto un susseguirsi di profonde emozioni (anche durante qualche intermezzo blues che ho assolutamente apprezzato). Finale a sorpresa con l'intera crew del festival sul palco, travestiti da donne per cantare "Purple Rain" con Overland e il pubblico. Siamo giunti al termine, e per la gioia di tutti i presenti, Kieran (l'organizzatore) ci ha rassicurato che ci potremmo rivedere tutti l'anno prossimo per una nuova edizione. Tirando le somme ho visto tre esibizioni spettacolari (FM, Honeymoon Suite e Treat) e poco importa se alcune band hanno deluso o mi hanno emozionato solo in parte. Ribadisco che il Firefest è veramente un'esperienza unica per chi ama il rock melodico, questo festival è una sorta di "bolla spazio-tempo" (come lo definiscono i miei compagni di viaggio) che riunisce un sacco di amanti della melodia, personaggi alquanto bizzarri e provenienti da tutto il mondo. Il prossimo anno vi voglio tutti a Nottingham, ne vale la pena, credetemi!

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