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ZENDEN SAN: Daily Garbage

data

24/05/2017
80


Genere: Funk Rock, Jazz
Etichetta: Subsound Records
Distro:
Anno: 2017

Un bassista ed una batterista decidono un giorno di creare un progetto musicale in totale spensieratezza, scevro di tecnicismi fini a sè stessi, svincolato da catene e definizioni. Musica in libertà per il duo di Cremona Zenden San, formatosi nel 2015 ha come protagonisti Fabrizio Giovampietro al basso e Alessandra Fiorini alla batteria. Suoni ed effetti, tutti scritti e composti da due artisti le cui influenze musicali partono certamente dal jazz, per poi espandersi al funky più frizzante ed approdare a timbriche metal. Sono solo sfumature queste ultime, full-length strumentale che non si ferma mai in un punto preciso della mappa musicale. La produzione è decisamente buona, basso disegna melodie, senza però dare riferimenti precisi, come del resto anche la batteria, scoppiettante e fantasiosa. L’album parte con "Bang!", un vero e proprio colpo di suoni che ci viene sparato in faccia, d’improvviso, carpendo la nostra attenzione. "The Death of an Eddhead" poi sembra volerci dire di prendere un attimo di pausa, per meglio contemplare e ragionare le sensazioni percepite di primo acchito. "Daily Garbage" accelera di nuovo prendendoci per mano e trascinandoci in una corsa spensierate. Sedotti con "Life of a Pavement", restiamo abbagliati dal gioco di luci che ne susseguono, pixel che aritmicamente si illuminano ricordandoci i temi musicali di un’infanzia a 8 bit. "Elephant & Spider" è il gioco vivace tra due creature divertite; "Doctor's Club" la sfida tra navicelle in un tubo catodico. Il disco continua così, zampettando tra follia, fanciullesca e dissacrante sconsideratezza, mai dando l’impressione di un mero scolastico amor proprio per il tecnicismo. Ravvisiamo, verso la fine dell’album, una durezza nei suoni che ci fa pensare al core, ma come anche accennato prima, parliamo di tracce in un contesto funky e jazz. Stesso discorso vale per le distorsioni di "Altu Rasz", un’espressività corrucciata di stampo noise che echeggia per poi sublimare nel gaudio di "Interim". "Industrial Zone" e "Burpobarf" terminano il lotto dei pezzi, sfociando in divagazione effettivamente electro/industrial e di pura improvvisazione . Nel complesso tutto ciò ci lascia piacevolmente stupiti, se non altro per la capacità di non andare mai oltre in virtuosismi che poi potrebbero risultare fini a se stessi. Non possiamo che complimentarci con attori di una musica che ha in sé i colori del più folle dei giullari, ma che necessariamente dovranno maturare ulteriormente per far il decisivo salto di qualità. L’indefinitezza e la destrutturazione sono un pregio, ma possono diventare, dopo un ascolto di tale durata, ostiche soprattutto per chi cerca poi un senso a tutto ciò. La bussola noi pensiamo di non averla mai persa in questo ideale girotondo di note, pur con qualche capogiro, possiamo dirci ammirati da un entusiasmo e personalità rari.

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