WITCHES OF DOOM: Deadlights
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22/07/2016Dal nome della band, Witches Of Doom, per chi mastica particolarmente certi stili musicali potrebbe venire in mente una band che fa dell’occulto, del mistero, del misticismo, dei fumi metallici e delle pozioni magiche ed esoteriche i loro cavalli di battaglia. Bene, poco o nulla di tutto ciò è presente all’interno di ‘Deadlights’, secondo album della band romana, prodotto per l’etichetta americana Sliptrick Records. Infatti si parte con un‘introduzione dell’album che con il rock e il metal non c’entrano nulla, andando invece a riscoprire addirittura territori elettronici. Dopodiché si parte con il succo vero e proprio di “Lizard Tongue”, che si mostra come un concentrato di hard rock moderno, che si rifà agli stili prettamente americani, ricordando un po’ gli ultimi lavori di Slash con Myles Kennedy and The Conspirators. Il prosieguo è un avvicendarsi tra suoni di stampo elettronico e tentativi rock tanto buoni dal punto di vista tecnico, quanto non particolarmente efficaci dal punto di vista delle atmosfere e del tentativo di rapimento dei sensi umani. È un album che fa fatica a decollare. Non si riesce a compiere quel balzo essenziale per permettere di essere un disco che faccia presa in maniera costante. La prestazione vocale di Danilo Piludu è tutto sommato buona, ruvida e sporca al punto giusto; piuttosto non si amalgama alla perfezione con le sezioni strumentali, che talvolta vengono infarcite con soluzioni elettroniche che spezzano molto l’equilibrio e l’ordine dei suoni rock tradizionali ed originali. Dall’hard rock ci si sposta anche su versanti più dark, come dimostrato dall’interessante “Black Voodoo Girl”, in cui la voce di Piludu cambia sostanzialmente registro e si presenta a tratti più evocativa. Una speranza di apprezzare un brano dai ritmi strettamente doom e degno del nome che la band si è data poteva essere fornita dall’esecuzione di “Mater Mortis”; l’inizio faceva ben sperare su ciò, ma poi si è continuato ad ostinarsi quasi prepotentemente su suoni elettronici veloci che snaturano completamente la potenziale atmosfera del brano. Si cerca di recuperare nel seguito con accenni di cori lirici e ritmiche pesanti, ma senza ottenere il risultato atteso. Il brano finale, “I Don’t Want To Be A Star”, nonostante sia il più lungo del lotto, con le sue ritmiche e il suo approccio sembra quasi definirsi come filler dell’album, essendo sostanzialmente diverso rispetto a quanto proposto sinora, e nonostante questo non risultando convincente nella ricerca di sensazioni positive. In sostanza, ‘Deadlights’ è un disco rock che non suscita particolari entusiasmi, che non crea emozioni particolari all’ascoltatore, e non lascia segni tangibili. Le qualità musicali dei componenti sicuramente non mancano. Bastava solo prendersi un po’ di impegno in più e cercare di trasformare e modellare queste qualità in qualcosa che lasciasse un segno profondo all’ascoltatore e che facesse ricordare quest’album come un lavoro da apprezzare anche nel futuro. Obiettivo che si è toccato solamente in pochi sprazzi, come per esempio l'ottimo artwork, che contribuisce all'album complessivo una valutazione comunque sufficiente.
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