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WHITESNAKE: SLIP OF THE TONGUE

data

24/08/2003
90


Genere: Melodic Hard Rock
Etichetta: EMI
Anno: 1989

Sul conto di "Slip Of The Tongue" ne ho sentite di tutti i colori.. Che non c'entrava niente con lo stile dei Whitesnake, che Steve Vai ci ha inserito assoli senza un minimo di feeling, che la sezione ritmica ha compiuto un lavoro scadente, che alcune delle song dell'album sono inascoltabili... Chissà perché, ma della lunga discografia dei Whitesnake, "Slip Of The Tongue" rimane di gran lunga il mio album preferito. "Slip" infatti va preso per quello che è, senza dover essere paragonato a quello o quell'altro lavoro partorito dai Whitesnake, senza neanche pensare che sia dei Whitesnake. Non avendo potuto contribuire alle registrazioni a causa di una fastidiosa tendinite, Adrian Vandenberg lascia l'onere della guitar-session a Steve Vai. E la chitarra dell'italo americano risulta essere qualcosa di veramente sopraffino, l'esatta unione tra un vecchio stile di hard-rock tipico del serpente bianco e la novità stilistica e del sound tipico della Ibanez del genio della sei (pardon, sette!) corde. E che dire della sezione ritmica? Con un grandissimo come Tommy Aldridge (votato come miglior batterista nel 1988) dietro le pelli e un bass-player di feeling come Rudy Sarzo, allora tutti quelli che ne hanno decantato i difetti vari notati all'interno delle songs dovrebbero sciacquarsi la bocca prima di parlare un'altra volta. Il cd parte con la title track, maestosa e suprema, con la voce di Coverdale a fare sfracelli e la chitarra di Vai che ne impreziosisce ogni passaggio. E dopo la elettrizzante "Cheap an' Nasty", ecco il remake della celebre "Fool For Your Loving", potente, precisa e diretta, con un guitar solo da follia e un drumming da precisione cronometrica. Le dolci note della chitarra di Steve introducono poi "Now You're Gone", che dopo una partenza lenta e romantica si trasforma in una vera hard-style song, la quale lascia il posto a "Kittens Got Claws", energica e coinvolgente. Ma ecco echeggiare le chitarre di tempesta di "Wind Of The Storm", una canzone di una classe infinita dove Steve dimostra le sue immense doti chitarristiche, per poi passare a "The Deeper The Love", uno dei più dolci lenti partoriti dalla mente di Mr. Coverdale, con le tastiere di Don Airey ad "angelicarne" lo sfondo. "Judgement Day" è una straziante e malinconica song, cupa e tortuosa, con la voce di Coverdale a cantare i dettami di un lato oscuro dell'esistenza, seguita a ruota dalla poco convincente "Slow Poke Music", a mio parere l'episodio più basso del platter. Il compito di concludere il lavoro viene affidato a "Sailing Ships", introdotta dalle note acustiche di Steve Vai e accompagnata dalle tastiere sognanti del grande Don Airey. Il tutto per esplodere nel finale con l'entrata dirompente di Aldridge e Sarzo che sfogano tutta la loro classe a dimostrazione del loro talento. Sinceramente non so a chi o cosa pensavano coloro che hanno avuto un netto disprezzo nei confronti di questo capitolo di Coverdale e soci, quello che mi preme sottolineare è che se un cd come quello in questione dovesse uscire al giorno d'oggi, sono sicuro che verrebbe decantato come miracolo unico ed irripetibile dell'hard-rock targato 80's...

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