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SWORD: SWEET DREAMS

data

01/06/2003
92


Genere: Heavy Metal
Etichetta: Aquarius
Anno: 1988

Gli Sword erano una superlativa band canadese originaria del Quebec attiva nella seconda metà degli '80, e con solo due album consegnati nelle spietate mani del tempo. Non sono bastate due indimenticabili testimonianze, quel "Metalized" uscito nel 1986 ed il disco in oggetto, a farli imporre all'attenzione dell'atavica fame di metal degli headbangers dell'epoca. Eppure, la band non sfigurava affatto al cospetto di molte altre band e personaggi allora molto più in voga, anzi, il valore effettivo e l'attitudine storicamente "giusta"(quella così dannatamente intrisa di sudore e lacrime, contestazione e rabbia) risulta il più delle volte molto più sincera di altre. E l'analisi dell'album non poteva avere miglior e subitaneo riscontro delle qualità della band incappando nella title track, brano scandito da una ritmica cadenzata e mortale e supportata da un riffing che dipinge scenari macabri immortalati dall'urlo disperato di R. Hughes, ugola luciferina nutrita a pane, nitroglicerina e zolfo. "The Trouble Is" si snoda sulle stesse coordiante ma si dipana in modo più lineare, mentre "Land of the brave" riprende l'incedere mortifero dell'inizio e si staglia nella notte più tetra, alta e nebbiosa come un vascello fantasma che si aggira sopra un cimitero di guerra per ricordare gli "impavidi" morti senza motivo valido apparente. Un manifesto commovente contro la più assurda delle attitudini umane. Le successive "Back Off" e "Prepare To Die" alzano l'andamento generale dell'album con tempi più spediti e diretti. In particolare la seconda, velocissima e tagliente come il più affilato dei rasoi che lascia addosso un brivido di freddo ed un respiro affannoso, come se qualche entità invisibile dietro le spalle fosse pronta a rapirci e portarci seco in un altro mondo. "Caught In The Act" è una mazzata tremenda, un altro colpo feroce inferto ad una velocità altissima in cui Hughes canta, urla, graffia come un ossesso quasi a sputare fuori l'anima... qui potrebbe anche finire la recensione,ma come non parlare del resto del disco? Come non evidenziare la doppia partitura "maleducata" composta da "Until Death Do Us Apart" e da "The Threat", che sembrano uscite da un calderone ove stagna fumante il metallo più fetido ed incandescente? Oppure della conclusiva "State Of Shock"(quale miglior titolo finale poteva rendere al meglio la sensazione che si avverte dopo l'ascolto dell'intero disco), che sparata a 2000 km orari violenta la già labile stabilità cerebrale e stuprerà il sonno dei vicini o del condominio? Cos'altro da aggiungere se non l'encomiabile guitar-work di Plant, preciso, sporco, putrescente, spietato e della prestazione vocale oltre il limite di Rick Hughes, cantore, sacerdote infernale, e di una sezione ritmica risorta direttamente dall'oltretomba, pesante, funerea o pressante a seconda dell'esigenza. I testi sono veri e propri atti d'accusa alla società ed alla religione che indirizzano ma non proteggono(diretti e mai banali), che accusano ma non hanno pretesti morali universali cui affidarsi. "Sweet Dreams" è un grido disperato di dolore a cui tutti dovrebbero dar voce e non solo: è uno di quei dischi cui bisognerebbe appellarsi quando davanti ad un tribunale morale necessiteremo di giustificare il nostro amore per l'heavy metal. Il giudice non potrà fare altro che pogare, battere il piede e mostrare il dito medio all'accusa mentre leggerà la sentenza della nostra assoluzione... provate ad immaginate la scena. Voi siete per l'accusa o per la difesa? Non lasciate cadere nel dimenticatoio gli Sword. E' una supplica, una preghiera...

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