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SHAPE OF DESPAIR: Monotony Fields

data

12/06/2015
89


Genere: Funeral Doom Metal
Etichetta: Season of Mist
Distro:
Anno: 2015

Potremmo divagare su quanto 'Angel of Distress' sia l'album funeral doom metal per eccellenza, o che 'Illusion's Play' per quanto si sia sforzato non ha neanche raggiunto il suo predecessore. Potremmo additare gli Shape of Despair di mancato rispetto nei confronti del loro pubblico, perché nell'attesa durata ben undici anni numerose sono state le vittime nello scorrere inesorabile del tempo, e di quei fan originari che li hanno seguiti con fervore rimangono solo i resti conservati in una cassa di legno sotto uno spoglio terreno. Ma è valsa la pena poi attendere tutto questo tempo un loro ritorno? Nel giro di pochi mesi annuncio, artwork, prime tracce online ed ecco il disco pronto ad essere spedito nei pochi negozi di dischi rimasti ancora intatti prima d'imbarcarsi in una serie di concerti da suicidio. I finlandesi mediamente stanno male se pensiamo che solo li sono nati oltre i succitati Shape of Despair anche gli Skepticism, Thergothon e Tyranny. I russi stanno messi peggio, ma concediamo alla Finlandia il suo apporto al genere funeral doom. Siamo qui per parlare però di 'Monotony Fields'. L'addio alla voce del signor Pasi 'Ajattara' Koskinen è stato un duro colpo da digerire. Possono ancora gli Shape of Despair definirsi tali senza il loro cantante storico con il quale hanno sancito la mia personale cicatrice in musica? Rispondiamo con un secco sì. 'Monotony Fields' è un boccone duro da digerire, come pretendere d'ingoiare un sasso senza soffocare, ed espellerlo senza ricorrere alla chirurgia. Il dolore è altrettanto simile, poi. Se già le intenzioni di andare al mare questi giorni erano poche, grazie a loro si sono azzerate del tutto. Glaciale come solo una cripta umida sa essere, lento solo come una marcia funebre verso il buco di terreno in cui conseguire riposo può essere. L'intenzione finale non è scandalizzare l'ascoltatore, rimembrando atmosfere funeree più simili a una passeggiata in una foresta, di notte, nel buio, ammirando come nel sonno anche l'essere più crudele rimembri le sembianze d'un poppante indifeso. Indifesi si è infatti in questa monolitica ora e quattordici minuti, ma non mai ripetitiva. Punto a loro favore è la sapiente struttura dei pezzi, intelligente come deve essere, perché non deve essere un agonia ascoltare una traccia lunga dieci minuti che si ricicla all'infinito in un senso d'incompetenza, tipica di chi crede che il funeral sia solo pizzicare più lentamente le corde. La Season of Mist tiene nel suo ranch un puledro puro sangue che non aspetta altro correre libero come una furia nel vostro stereo. L'unico modo per dire di no agli Shape of Despair oggi è solo non apprezzare il funeral doom.

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