SCALA MERCALLI: BORDER WILD
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25/04/2009Quando si dice che la costanza paga, suppongo ci si riferisca a storie come quella degli Scala Mercalli: in diciassette anni di attività, la formazione marchigiana è arrivata ad un passo dall’avere un contratto discografico, poco prima del quale ha dovuto sopportare diversi cambi di line up; dopodichè è ripartita da capo, è arrivata ad un secondo contratto (andato questa volta a buon termine), ed è infine riuscita ad ottenere la terza occasione, pubblicando il secondo album (il primo è stato ’’12th Level’’ nel 2005). Ed eccoci dunque ad ascoltare ’’Border Wild’’, nuovo full lenght della band fermana. Innanzitutto va detto che, in questi anni, di esperienza ne hanno fatta non poca: la qualità compositiva è notevole, i pezzi sono delle discrete cannonate di suoni grezzi e pesanti; la pecca sta nella produzione, che risulta non essere a livelli eccelsi. Ciononostante, trattandosi comunque di una produzione dignitosa, si sposa bene con il genere “duro e puro” che la band porta avanti: una pecca dunque tutt’altro che invalidante. Riguardo la band, va detto che il vocalist Bartolacci è il classico esempio di una voce che o piace o non piace, senza possibilità di vie di mezzo: stridente, un po’ nasale eppure espressivo, parrebbe uscito direttamente dagli anni ottanta. Per il resto il gruppo “funziona bene”, sia a livello di composizione (ma questo l’abbiamo già detto), sia a livello di esecuzione (emerge infatti un’ottima intesa tra gli strumentisti, ed in particolare tra le due chitarre). Certo non siamo davanti ad un disco innovativo, ma ciò non toglie che si tratti di un buon album di Heavy Metal: un po’ stradaiolo, un po’ grezzo, soprattutto nei suoni, eppure curato nella composizione e ricercato nei passaggi chiave che riprendono l’ascoltatore distratto e lo costringono giocoforza ad impegnarsi un po’ di più nell’ascolto. Non è un disco per tutti, questo va detto; si tratta più di un lavoro per appassionati della “vecchia scuola” dell’Heavy ottantiano, che cerchino qualcosa di quel genere ma un po’ più fresco e recente. Questi sapranno sicuramente apprezzarlo e dargli il giusto posto, nel lettore diuno di quei simpatici stereo che piacciono tanto a noi amanti degli anni ottanta, quelli per cui siamo capaci di accendere un mutuo perché i remaster non fanno per noi: noi vogliamo accentuare quel suono così vero, sporco al punto giusto, non risistemato con quei diavolo di computer che tutto fanno tranne che musica. Ecco, questo disco è per voi. O per noi. Insomma, ci siamo capiti.
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