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ROADRUNNER UNITED: THE ALL-STAR SESSIONS

data

24/10/2005
...cento di questi dischi.


Genere: Metal
Etichetta: Roadrunner Records
Anno: 2005

A celebrazione di venticinque anni di onorata carriera nel mondo discografico metal, ecco dopo tanto battage arrivare Roadrunner United; per quei pochi abitanti di Marte che non sapessero di cosa stiamo parlando, un breve e conciso riassunto. Roadrunner Records ha assemblato quattro ‘squadre’ di musicisti, capitanate da quattro dei suoi songwriter più rappresentativi. Ognuno di loro ha scritto quattro (o cinque) brani, facendo ruotare i musicisti in ognuno dei pezzi, per arrivare ad un totale di ben cinquantacinque artisti coinvolti. Un’operazione unica e che sicuramente farà storia. Sebbene non mi piaccia recensire i dischi modello ‘lista della spesa’, mi vedo costretto a fare una comprensibile eccezione nel caso di questo “The All-Star Sessions”; ogni paragrafo sarà dedicato ad un capitano, Robert Flynn (leader dei Machine Head), Dino Cazares (ex chitarrista dei Fear Factory), Matthew Heafy (cantante/chitarrista dei giovani Trivium) e Joey Jordison (batterista dei celebri Slipknot). L’apertura del disco è affidata a “The Dagger”, brano di Flynn (notare che il buon Robert, se si eccettua i singer, ha tenuto la sua squadra invariata in tutti i quattro brani) con protagonista Howard Jones dei Killswitch Engage dietro il microfono, affiancato dallo stesso frontman dei Machine Head. Il pezzo è un thrash old school con molti richiami alla band madre di Flynn, con un ritornello da urlo e uno stacco solista eighties da mettersi le mani sui capelli, merito soprattutto della classe che Jeff Waters sa infondere ad ogni nota. Da segnalare, come se ce ne fosse bisogno, il drumming terremotante dell’ex Chimaira Andols Herrick. Si prosegue con “Independent (Voice Of The Voiceless)”, tiratissimo thrashcore che si sposa alla perfezione con il vocione di Cavalera; anche qui, giù il cappello di fronte a Waters e al gusto melodico di Flynn. “The Rich Man” è un brano lungo, distorto e malato, una sorta di Black Sabbath modernizzati con un incazzatissimo Corey Taylor a sputare veleno e odio. Sublime. L’ultimo pezzo del capitano Robert è “Army Of The Sun”; vengono tirati in ballo i Machine Head più melodici con un ritornello davvero sognante e una prova vocale di Tim Wiliams da incorniciare. Tocca al paffuto Dino. A dire la verità, ero piuttosto scettico sulla qualità dei suoi brani. Da troppo tempo fuori dal giro, cosa sarebbe saltato fuori? E’ saltato fuori un macello; “The Enemy”, “Baptized In The Redemption” e “No Mas Control” (con alla voce rispettivamente Mark Hunter, Dez Fafara e Christian Machado) miscelano l’esperienza fear factoryana con l’aggressione ferale che Cazares ha sempre scaricato nei dischi di Brujeria e Asesino, grazie anche ad una line up di tutto rispetto, tra cui figurano Roy Mayorga e Andreas Kisser. Menzione particolare per “The End”, una sorta di ballad moderna costruita esclusivamente sulla splendida voce pulita di Matthew Heavy, ed irrobustita dal basso di Nadja Peulen e dalle tastiere di Rhys Fulber. Chapeau. Matthew Heafy, classe 1986, si conferma dal canto suo una specie di Re Mida del metal. Quattro brani molto eterogenei, dove mette in mostra la sua mania di ficcare assoli dappertutto, senza risultare fuori luogo, cosa da non sottovalutare, e il suo gusto melodico. “In The Fire” è una traccia che i Mercyful Fate avrebbero dovuto scrivere anni fa; sugli scudi King Diamond, il drummer Dave Chavarri (chi pensava che sapesse fare solo le congas e le percussioni latine dovrà ricredersi) e i due axeman solisti, appunto Heafy e il suo compare dei Trivium Beaulieu. “Dawn Of A Golden Age” è un pezzo black metal melodico abbastanza Cradle Of Filth fortunatamente privo di orchestrazioni esagerate e pomposità sopranistiche: un pezzo d’atmosfera impreziosito dal violentissimo drumming di Mike Smith e dal basso di Sean Malone. “Blood & Flames”, southern rock malinconico con Jesse David Leach, convince a più riprese, come convince “I Don’t Wanna Be (A Superhero)”, velocissima punk song con Michael Graves dietro il microfono. L’ultimo capitano è Joey Jordison, che a differenze dei colleghi ha scritto cinque brani e non quattro. Il primo è “Annihilation By The Hands Of God”, un proiettile brutal death con una line-up da favola. Glen Benton al microfono, Steve DiGiorgio al basso, Matt DeVries e Rob Barret alla chitarra ritmica, lo stesso Jordison dietro le pelli e James Murphy alla chitarra solista. Non credo serva commentare cosa sia venuto fuori da musicisti del genere. “Tired ‘N Lonely” è un movimentato pezzo rock molto piacevole con Keith Caputo alla voce, mentre “No Way Out” si avvale della collaborazione di Junkie XL per un brano pop-rock davvero bello. Deludenti invece “Enemy Of The State”, sorta di Type O Negative depotenziati, e “Constitution Down”, troppo raffazzonata. Una menzione a parte per “Roads”, brano outsider scritto da Josh Silver e cantato da Mikael Åkerfeldt; un pezzo sofferto e malinconico, come era lecito attendersi dai due musicisti tirati in ballo. Tirando le somme, si può dire che “The All-Star Sessions” sia un esperimento perfettamente riuscito. Un platter lungo, eterogeneo e di qualità (tutti i pezzi sono estremamente validi, se si esclude un paio di eccezioni) che può incontrare il gusto di molti ascoltatori. E vogliamo mettere la soddisfazione si sentire suonare insieme certi personaggi?

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