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RED DRAGON CARTEL: Red Dragon Cartel

data

26/01/2014
49


Genere: Modern Hard Rock
Etichetta: Frontiers Records
Distro:
Anno: 2014

Quando oramai avevamo perso le speranze di rivederlo sulle scene il chitarrista Jack E. Lee, ufficialmente non ritiratosi, ma in silenzio da parecchi anni, decide di disseppellire l'ascia di guerra. Sotto il monicker Red Dragon Carpet si cela infatti proprio il suo nome, in compagnia del suo amico bassista Ron Mancuso (già con Beggars & Thieves), del drummer Jonas Fairley e di Darren J. Smith nell'inconsueto ruolo di vocalist quando è conosciuto dai più per essere il batterista dei canuck rockers Harem Scarem. La lunga pausa sembra purtroppo aver annebbiato non poco Jack, anche se il livello di tecnica strumentale rimane ancora più che apprezzabile. Se l'opener "Deceived" funge un po' da specchietto per le allodole vista una certa somiglianza con brani che facevano parte del periodo in cui era al servizio di Ozzy Osborne, in particolare nell'album 'Bark At The Moon', già con la seguente traccia ci si addentra in ambienti dal mood piuttosto oscuro e inquietante, visto che Jack spesso e volentieri utilizza distorsioni ed effettistica tipiche di un rock in chiave alternative modernista che possono disorientare chi un tempo lo osannava, specie quando riusciva ad esprimere al meglio il suo talento negli indimenticati Badlands, e lo stesso vale per la semi-ballad pseudo-grunge "Fall From The Sky", troppo ancorata allo stile degli Alice in Chains e cantata in maniera barbara da Smith, dotato di un'impostazione vocale troppo ruvida, da rivedere in toto. Il resto del materiale non riesce a sottrarsi da questo andazzo, brani come "Big Mouth" e "War Machine" spiccano in negativo per il loro andamento stanco, ciondolante, opprimente. Il finale caratterizzato dalla zeppeliniana "Redeem Me" che vede come ospite d'eccezione Sass Jordan e dallo strumentale pianistico piazzato più che altro come outro, un po' fuori contesto ma tutto sommato piacevole servono solo a rendere il finale un pochino meno amaro, comunque all'insegna di un'insufficienza netta. Spiace essere così severi nei confronti di una persona come Jake E. Lee che ha contribuito nel suo piccolo a scrivere pagine della storia del rock ma la diagnosi è allo stato dei fatti impietosa con l'auspicio che torni prontamente in gran spolvero e a deliziarci come era capace a cavallo tra gli anni '80 e '90.

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