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PARAGON: REVENGE

data

30/06/2005
50


Genere: Power Metal
Etichetta: Magick
Anno: 2005

La recensione di questa nuova fatica dei tedeschissimi Paragon (noti ai più per una ricca carriera di platter all'insegna dell'intransigenza e della fedeltà alla linea) è l'ennesima perdita di tempo. Cos'altro si può dire per un disco che ancora oggi insiste nel riproporre stilemi e sonorità già obsolete e prive d'ogni interesse parecchi anni fa? I Paragon in questo "Revenge" propongono infatti un quadratissimo heavy metal crucco d'intenzione Grave Digger di "Excalibur", con qualche rimando ai Running Wild meno ispirati e svariate concessioni all'epicità da Bar dello Sport, facendo il verso agli ultimi dischi dei Manowar con tutte le aberrazioni del caso. Presente una notevole vena thrash fatta di stupide accelerazioni con tempi in battere e chitarre/grattugia, della serie "abbiamo ascoltato gli Iced Earth". C'è bisogno di descrivere la musica? Secondo me no, ma nel caso siate particolarmente interessati a questo disco (la copertina, in effetti, ha i suoi perchè) posso dirvi che le chitarre (apparentemente ribassate) sfoderano il consueto sound potentissimo e abbastanza al passo coi tempi, decisamente sprecato per gli inutili e dimenticabili riff suonati dai due axeman; la voce è un mal riuscito ibrido tra il Rock'n'Rolf meno potente e il Chris Bolthendal più cacofonico; la batteria, col suo fare doppiocassistico e statico a mò di traccia midi ha del fastidioso. Risultato? La solita, scialbissima e apparentemente truissima (in realtà debole e vigliacca, alla faccia dei guerrieri di cui parlano i testi) proposta. Parlare di brani in questo marasma ha ben poco senso, ma spiccano per bruttura un'insostenibile suite sui vichinghi a titolo "Master Of The Seas" (quand'è che la smetteremo di profanare il buon nome delle genti del Nord?), e un brano di sedicente speed/thrash come l'opener "Impaler", che non farebbe male a una mosca nonostante la cafonissima velocità. Viene da ridere pensando che in passato i Paragon erano accostati addirittura ai Sacred Steel per la brutalità e la ferocia della proposta: Oliver e soci pestano duro, questo sì, ma non hanno neanche un centesimo della verve creativa e dell'effettiva attitudine distruttrice dei colleghi capitanati dal discussissimo vocalist Gerrit Mutz. Se andare controtendenza e portare alta la bandiera del metallo significa proporre brani inutili e scontati, che non osano minimamente e rimangono timidi timidi in attesa di giudizio, contenti loro, ma ogni metalhead con un minimo di amor proprio eviterà come la peste questo disco, per il quale il discorso è sempre lo stesso: poche idee espresse male. E il fatto che la cover proposta a fondo album sia un pezzo oltremodo sopravvalutato e fastidiosamente abusato come "The Gods Made Heavy Metal" la dice lunga sulla pochezza artistica della band.

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