OLYMPOS MONS: CONQUISTADOR
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28/11/2004Quando la Finlandia sforna un gruppo Power, grosso modo, si sa cosa ci aspetta: il genere è ormai noto, e le terre del Nord già hanno dimostrato di poter partorire grandi talenti. Non fanno eccezione gli Olympos Mons, che con "Conquistador" tentano il salto dall'underground, in cui già i componenti del gruppo godono di discreta fama, al mondo del professionismo: il talento è indubbio, ciò che lascia un po' l'amaro in bocca è la mancanza di originalità. Non ci troviamo infatti di fronte ad una formazione che prometta grandi innovazioni se non a parole; i fatti dimostrano che i ragazzi hanno fatto i compiti, studiando bene la lezione degli ormai classici insegnanti nordici. Questo è lodevole, ma non sufficiente a superare i maestri, nè a distinguersene in maniera brillante. Con questo, intendiamoci, non voglio dire che l'album non valga un bell'ascolto, anzi: si tratta sicuramente di un bel cd, molto gradevole, accattivante, a tratti anche in un certo senso ipnotico. Il problema è che non si arriva mai oltre un accenno di rapimento, mai oltre una soglia che sembrava si stesse varcando verso un livello superiore di ispirazione ed evocatività. Attraverso le undici tracce, dall'accativante opener "Seven Seas" alla Holliwoodiana "Black" (non saprei bene come spiegarlo, ma mi ricorda terribilmente da vicino la colonna sonora di un film alla "Highlander", non come stile, bensì come atmosfera), passando per la Turilliana (passatemi il termine) "Through The Ice And Snow" con un'ombra di Sonata Arctica in "Black Desireé", su tutto l'album aleggia l'imponente spettro di Tolkki, Kotipelto e compagni. Non è lo stile degli Stratovarius, è l'atmosfera, è l'effetto generale, è la scuola: che lo si voglia o meno, i maestri lasciano sempre qualcosa di personale agli allievi, e così come nel Power nordico ci sono gruppi che impostano la propria carriera al tentativo di sfuggire ai "papà Strato", così altri portano avanti la tradizione di famiglia.
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