NONPOINT: TO THE PAIN
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23/11/2005Che pasticcio! Ho sempre adorato i Nonpoint per la loro capacità unica di realizzare un crossover "reale" tra metal moderno e cultura nera (jazz, blues, soul e funk) senza ricorrere alle facilonerie del rap metal; la band del bravissimo singer Elias Soriano è stata, nell'ambito della prima ondata nu metal, una delle stelle più luminose, ma allo stesso tempo commercialmente più sfortunate. Così ecco che a meno di un anno dal bellissimo "Recoil" i Nonpoint ritornano con questo "To The Pain", un artwork orrendo ed una nuova label, la Bieler Bros Records di Jason Bieler, ex mente degli sfortunati Saigon Kick e da sempre producer-manager del gruppo. E questo "To The Pain" sembra soffrire della stessa confusione musicale che ha danneggiato gli ultimi Saigon Kick; in questo nuovo album, infatti, i Nonpoint rendono ancora più varia e tecnicamente ricercata la loro proposta, ma allo stesso tempo non riescono a scrivere delle canzoni convicenti, cosa che in passato gli era sempre riuscita più che bene. I primi due brani ("Bullet With A Name" e "There's Going To Be A War") sono da dimenticare, rimangono impressi solo i pessimi refrain ed un Elias Soriano che tenta un improbabile "ragamuffin". Lo stile è quello tradizionale dei Nonpoint ma privo di quell'incisività melodica che li ha resi grandi. "The Wreckoning" piatta e senza sussulti non migliora le cose, ma almeno risulta sopportabile. Fortunatamente "Alive And Kicking" e "Explain Yourself" rialzano le quotazioni del cd: la prima con delle belissime melodie, la seconda presentandosi come una sorta di "Nonpoint meets Sanatana". Da cancellare anche la pessima "Buscandome" (che ancora una volta è sporcata da influenze ragamuffin nel cantato) ruvida scopiazzatura dei Soulfly, al contrario della stupenda title track, dal ritornello jazzato ed aperto e con Elias Soriano che fa quello che sa fare meglio, cantare! Lo strumentale "Ren-Dish'en" fa da ponte per altri brani sufficienti come "Explain Yourself", "Skin" e " Code Red" che sembrano esercizi di stile poco ispirati da parte della band. Fortunatamente a salvare la baracca arrivano "Wrong Before" e "The Shortest Ending" probabilmente tra le migliori canzoni del disco, anche se la concorrenza non è agguerrita. Insomma una vera delusione amplificata dalle potenzialità della band, che avrebbe potuto esprimere ben altro anche a fronte del continuo progresso tecnico che la caratterizza, forse hanno avuto troppa fretta di tornare a farsi ascoltare dopo le delusioni commerciali patite, ma l'hanno fatto nel peggiore dei modi.
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