LIVING COLOUR: THE CHAIR IN THE DOORWAY
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10/12/2009Dopo la reunion di oltre un lustro fa, attesa a dire il vero, i Living Colour si prendono tutto il tempo necessario, anche troppo, per sfornare questo "The Chair In The Doorway", titolo emblematico, significativo visto nell'ottica dell'artwork, bruttarello, di copertina. Un disco che, parliamoci chiaro subito, non convince del tutto, ma che conferma comunque il valore assoluto della band. Riconoscibili in tutto e per tutto, dal sound all'esecuzione, agli intrecci particolari tra più stili, i nostri però virano abbastanza chiaramente verso un approccio più moderno. Quel "però" assume, come ovvio, una parvenza negativa perché Reid e soci risultano meno coinvolgenti, più freddi, seppur tengono inalterato il trademark. Più che nel merito, oggettivamente superbo, non convince del tutto il lato emozionale. Le melodie si fanno più aspre, per dire, a dispetto di una ritmica sempre varia e stralunata. Certo la produzione poco aiuta, incerottata e bendata così com'è, ma la sensazione è che il lavoro svolto sia molto cerebrale, pianificato più che ispirato. Più ascolti non migliorano il giudizio iniziale, ma il punto sostanziale è quello di una band unica capace di ritagliarsi uno spazio tutto suo all'interno della storia del rock. Ancora più nel dettaglio, troverete la tipica vena soul e blues, il funk e l'hard rock senza che venga mai perso di vista l'equilibrio complessivo dei brani, e l'esecuzione è quella da leccarsi i baffi con sempre Vernon in prima fila, lui e la sua chitarra parlante in grado di riempire qualsiasi buco strumentale con il talento raro di chi davvero sa come raccontartela una storia. Manca un po' di calore a causa di escursioni in territori poco frequentati quando la band dà l'impressione di non trovarsi del tutto a proprio agio, ma sull'altro piatto della bilancia pende a favore anche l'esecuzione. Si diceva di Reid, lo stesso si può dire di Glover, sublime anche dal lato espressivo. In definitiva, "The Chair In The Doorway" è un ottimo disco che conferma lo stato di salute di una band mai troppo apprezzata fino in fondo, anche se scelte discutibili condizionano il risultato finale.
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