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KHEMMIS: Desolation

data

24/07/2018
75


Genere: Heavy, Doom
Etichetta: Nuclear Blast Records
Distro:
Anno: 2018

La desolazione, quello stato di profonda afflizione e solitudine in assenza di conforto o quella condizione di rovina e abbandono immutabili, se lo riferiamo a luoghi e non ad una condizione umana e spirituale come nel primo caso. Questo è il titolo che hanno scelto i nostri per il loro secondo LP edito da una etichetta blasonata come la Nuclear Blast che per l'occasione li ha presi sotto la sua ala protettiva dopo un primo disco uscito per la 20 Buck Spin nel 2015. La proposta musicale fornita dalla compagine a stelle e strisce può dirsi abbastanza particolare e affatto scontata, sicuramente piacevole all'orecchio di chi è nato e cresciuto con le sonorità più classiche dell'heavy metal. Sì, perchè i nostri non si limitano a propinarci l'ennesimo disco doom dalle solite sonorità sempre troppo simili e vicine ai padri Black Sabbath o ai grandi nomi della scena soprattutto europea, fanno molto di più, riescono ad elaborare il proprio sound in modo alquanto personale creando ciò che potremo definire un heavy-doom particolarmente influenzato dalla NWOBHM degli anni ottanta. Il disco si apre con "Bloodletting", poderoso mid-tempo in perfetto stile doom che rimanda alle sonorità maestose dei Candlemass degli anni più recenti, ma è già con la seconda traccia che va a delinearsi la particolarità dello stile dei nostri; "Isolation" è la traccia che maggiormente risente delle influenze più classiche e vicine alla NWOBHM. Un concentrato di epicità con la sua ritmica serrata, "cavalcante" e maideniana anche nei suoi intrecci armonici scanditi dai compagni d'ascia Ben Hutcherson e Phil Pendergast. Anche "Flesh to Nothing" si pone sullo stesso binario della traccia precedente rimarcando le forti influenze del metal più classico che non offuscano mai il sentimento malinconico di fondo presente nella band. Anche in questo brano possiamo scorgere influenze maideniane, ricami chitarristici molto piacevoli all'ascolto che hanno il pregio di arricchire e alleggerire un minutaggio importante (oltre i sette minuti) al cui interno trova spazio anche un fugace intermezzo di vera e propria violenza sonora nel quale la voce dalla timbrica alta ed evocativa trasmuta in un rabbioso e cupo screaming. Da questo punto in poi si ha la sensazione come se i brani si incupissero maggiormente facendo emergere il lato più doom e al contempo più epico della band; "The Seer" sicuramente appare più cadenzata e solenne nel suo incedere che ricalca gli stilemi del brano apripista del platter aggiungendo ancora più pathos. Le tracce conclusive che seguono si pongono sulla falsa riga della precedente; si passa da "Maw Of Time", brano più violento del disco nel quale i passaggi in growl sono più numerosi e si vanno ad innestare a cavallo delle linee vocali più pulite ed evocative, per arrivare alla conclusiva "From Ruin". Quest'ultima, dalla durata di ben nove minuti, la più lunga del disco, è un concentrato di epicità; la linea vocale ed alcuni intensi passaggi strumentali ricordano vagamente la profondità e la carica emotiva dei Tyr, uno dei brani che possiamo considerare la punta di diamante dell'intero disco e che da solo ne vale il prezzo. Sicuramente il punto di forza della band sta nel riuscire a fondere bene atmosfere epiche ed evocative con la parte più classica dell'heavy metal, caratteristica che nel passato ha fatto la fortuna di alfieri come i Manilla Road. Promossi a pieni voti.

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