IN FLAMES: Soundtrack To Your Escape
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25/04/2004Vi hanno detto che gli In Flames si sono rammolliti, commercializati; che potrebbero metterli in discoteca ora come ora; cazzate. L'evoluzione è una cosa più che naturale e se "Reroute To Remain" era un disco coraggioso (e validissimo) che poteva effettivamente far storcere il naso ai fan della prima ora, recriminare sull'ineccepibile crescita di un gruppo è quantomeno ipocrita. "Soundtrack To Your Escape" è qui a dimostrarlo, degno successore dell'evoluzione iniziata fin da "Colony" checchè ne dicano i saccenti del metallo ("Ordinary Story" vi dice nulla?), e persino superiore alla precedente fatica di Stromblad e soci. L'apertura è semplicemente spettacolare; "F(r)iend" è un mazzata sui denti e probabilmente uno dei pezzi più belli mai composti dagli In Flames, che già con la successiva "The Quiet Place" dimostrano la loro versatilità, che non si smentisce in altri due highlight dell'album, vale a dire "My Sweet Shadow", un pezzo quasi prog per via delle dinamiche innescate dalla band (e con un giro di tastiera che non vi si cancellerà dalla testa nemmeno fra mille anni) e la successiva "Evil In A Closet", commovente ballad in pure stile In Flames, con un ritornello davvero stupendo e arioso, che concede egual spazio sia alle chitarre che alle tastiere, meno invasive che in "Reroute" ma molto più fondamentali. La parte conclusiva del disco è riservata all'aggresione tout-court, dalla ritmata "Superhero Of The Computer Rage" a "In Search For I" (una lacrima di commozione e un ghigno beffardo vi si stamperanno in faccia ascoltando il brano in questione, tanta è la sensazione di essere tornati indietro all'epoca di "Whoracle"...); prima della tranquilla chiusura di "Bottled" ci pensa "Dial 595-Escape" a staccarvi definitivamente la testa dal collo, con un riff guitar/keyboard devastante e un ritornello altrettanto distruttivo. Un cenno per la produzione, mille volte migliore dell'album precedente, che fa letteralmente ruggire le chitarre come ai tempi di "Clayman". Sorvolo sulla performance della band, ovviamente ineccepibile anche se a spiccare è stavolta il buon Daniel Svensson, potente e preciso come non lo si sentiva da tempo. Che dire, un'altra conferma della classe disumana del gruppo di Gotheborg.
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