BLIND GUARDIAN: A TWIST IN THE MYTH
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03/09/2006E’ estremamente difficile per me parlarvi di un disco così controverso ma, accantonando il fatto che venderei l’anima per i Blind Guardian, cercherò di essere il più obiettivo possibile. Se il seppur valido “A Night At The Opera” aveva scatenato diversi malumori per via della sua vena più sinfonica, per i suoi eccessivi cori e per un appeal più “prog oriented” questo nuovo album getterà altra carne al fuoco. “A Twist In The Myth” rappresenta la naturale evoluzione del precedente lavoro, presentandoci brani dalla struttura sempre più complicata e, salvo eccezioni, dal minor impatto. A complicare le cose poi c’è la scelta in fase di produzione di lasciare tutti gli strumenti sullo stesso piano, influendo così sul risultato finale che non viene valorizzato al meglio. Fortunatamente lo split con lo storico batterista Thomen Stauch ha fatto meno danni di quello che si credeva con l’arrivo di Frederik Ehmke, suo sostituto, meno “violento” del suo predecessore ma dal pregevole tasso tecnico. Un album che nel complesso, tra altri e bassi, non riesce a lasciare il segno pur non mancando delle qualità e del sound tipico che ha permesso ai Guardian di entrare nella storia. Stendendo un velo pietoso sui “flop” di questo album, la moscia “Lionheart” e la valida “Otherland” che muore però nel ritornello fotocopia di “Punishment Divine”, possiamo gongolarci di quanto buono proposto: l’opener “This Will Never End” è tra le migliori proposte con la coppia di asce Olbrich/Siepen che duetta come ai tempi d’oro, l’eclettico singolo “Fly”, la più agguerrita “Another Stranger Me” e la lenta e sognante “Skalds & Shadows”, la cui versione definitiva varia di ben poco rispetto alla versione acustica presente sul singolo di “Fly”. Le canzoni rimanenti non bastano a fare la differenza pur mantenendosi su buoni livelli, “Straight Throught The Mirror” e “The Edge” su tutte, senza però farci gridare al miracolo. “A Twist In The Myth” ha un sapore amaro, pur essendo colmo di buoni brani non riesce a farsi ricordare per un qualcosa di memorabile. Un lavoro tecnicamente ottimo e dai buoni contenuti al quale però sembra mancare quella marcia in più per far salire il lavoro tra i dischi che contano.
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