AETHER: Aether
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25/11/2023Il nuovo jazz, esordio del quartetto di Milano Aether, nasce da una tesi di laurea (del bassista) e dall’esigenza dei singoli elementi di sperimentare un nuovo linguaggio musicale in cui convergere le proprie esperienze; dove lo strumento scelto diventa il mezzo per varcare i confini del jazz tradizionale, rimanendo fedeli ai propri gusti musicali. Attraversando il progressive rock, confluendo in una musica atmosferica, ambient, tendente alla fusion. E’ un album strumentale che ha origine dall’ascolto del proprio essere, e che non segue modelli prestabiliti, imposti dalla società musicale (prodotto dalla Overdub Recordings). D’altronde il jazz nasce dalle macerie, dai frammenti di memoria, dal vissuto e può essere un ponte tra generi musicali differenti. Assenza di fiati. Una chitarra jazz in salsa moderna (David Torn, Robert Fripp, Terje Rypdal). Un basso elettrico concepito non solo come strumento ritmico, ma come artefice compositivo ed artefice di un suono fluido, melodico, armonioso e legante, in grado di creare comunicazione tra musicisti ed ascoltatore (tipico del jazz nordico). Qui impersonificato anche da un freetless bass (senza tasti), dal suono più espressivo, o ancora da un chapman stick (Tony Levin, Sean Malone); che al solo tocco, ed essendo dotato di 5/6 corde di basso e di 5/6 corde di chitarra, genera un suono che potrebbe essere paragonato alla voce umana o animale (miagolio o muggito). Una batteria raffinata, presente ed intenta ad interessare, a sorprendere, anche melodica. Non solo una guida del tempo, ma anche esploratrice elettronica. Un sound morbido da synth, rhodes, che rievoca il suono denso in stile Canterbury e soluzione ritmiche progressive-rock (Camel, King Crimson). Accordi di settima che conferiscono una musica dinamica; trascinano emotivamente l’ascoltatore, ammaliandolo, incuriosendolo, facendogli desiderare note e sorprenderlo con altre. Peccato però che siano ancora poche (a mio giudizio quattro su undici), le tracce che contrassegnano il bel prodotto. Che nel complesso risulta rivoluzionario nel suono, in compenso. Un jazz che rivoluziona la voce del proprio strumento, e che in alcuni momenti la rende umana! Un jazz che crea connessioni con l’ascoltatore. Metti su il disco ed immancabilmente ti occupi di altro, il disco diventa una colonna sonora dove ti puoi perdere nel tuo agire, senza dare importanza alle note di sottofondo, che poi arrivano e bussano alla porta del tuo terzo orecchio; ed in quel momento realizzi che il jazz sta lavorando a pieno regime. Diversi sono i fraseggi che scuotono la mia attenzione, mentre mi perdo nell’inessenziale. “Echo Chamber”, “Radiance, “Thin Air” e “Grey Halo”, inducono rilassamento di mente e corpo, caratterizzate da artefizi musicali, capaci di riproporre atmosfere da didgeridoo, per le basse frequenze (anche senza la sua presenza). “Pressure” è un caos raffinato i cui ritmi sono chiari, riconoscibili e ben definiti. “Moving Away” ha bussato al mio orecchio (con un intro di chitarra da “Cosa Vuol Dire Per Sempre”, Banco Mutuo Soccorso, 2022), per un incredibile senso di malinconia della sei corde, su un tessuto poetico, tra basso/batteria da togliere il fiato, poi interrotto da effetti speciali di distorsione, per poi riprendere ciclicamente nel suo corso. “Crimson Fondant” si appoggia su un grave basso, ma è il loop da tastiera il tema della traccia, opportunamente spaziato da assoli, prima di chitarra e poi di tastiera: traccia ciclica. Lucida pazzia il compito di HardSounds di valutare il quinto elemento, la quinta essenza ‘Aether’, dal suono etereo, cristallino e sospeso nel vuoto. Rimango con il desiderio di “vedere il loro jazz” per coglierne smorfie, movimenti, segnali fra di loro, e per riuscire ad entrare ancora più in contatto con loro.
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