ULCERATE + SELBST
A conferma della serata dalle tinte esotiche, il 5 novembre, prima dei neozelandesi Ulcerate aprono i venezuelani Selbst, autori in carriera di un buon black metal dalle tinte atmosferiche, dove nelle pieghe di strutture in cui si intrecciano le tipiche sfuriate strumentali e vocali, fanno capolino arpeggi e melodie che tirano il fiato. Il progetto, in realtà trattasi di one-man band ideata dal cantante e polistrumentista Jhonathan Villamizar, presenta l’ultimo album 'Despondency Chord Progression', dove si notano, in maniera sostanziale, fraseggi tra parti tirate e riflessive che segnano momenti di stasi, in cui a capeggiare è la chitarra che costruisce momenti interessanti. La parte dolente, del pur rispettabile set, è data da suoni non particolarmente buoni; la batteria in diverse occasioni sembrava slegata dal resto del sound sotto l'aspetto dell'impatto, se non addirittura del timing, e ciò ha senz'altro influenzato anche gli altri componenti della band. Nonostante tutto la band è sembrata piuttosto valida ed il gradimento del pubblico, in silenziosa ed attenta osservanza, lo ha testimoniato.
Come la nuova Zelanda, arcipelago alquanto tranquillo, abbia potuto partorire dei figli così degeneri resta un mistero. Calati in terra meneghina per esibire l'ultimo lavoro ‘Cutting the Throat of God’, uscito quest’anno per l'etichetta francese Debemur Morti e che riprende in sostanza le sonorità del precedente ed altrettanto tagliente album ‘Stare Into Death And Be Still’, hanno messo a ferro e fuoco il Legend Club in men che non si dica. Ciò che ha colpito immediatamente l’occhio è la forma della batteria di Jamie Saint Merat, in fatto di articolazione di piatti di tutte le dimensioni (mancavano solo le stoviglie). Il batterista in questione, di fatto, dinanzi ad una struttura del genere si è trasformato in un cyborg inarrestabile: velocità di esecuzione di 5000 proiettili al minuto, mentre le due asce (Paul Kelland a basso e voce, e Michael Hoggard alla chitarra) sembravano un plotone di esecuzione, capace di sterminare chiunque abbia avuto anche solo il coraggio di piazzarsi davanti al palco. In aggiunta a tutto ciò, la prova vocale di Kelland avrebbe fatto impallidire Godzilla.
Gli unici momenti umani erano gli accordi dark/wave che concedevano sprazzi di melodia oscura in un maelstrom catastrofico di dissonanze, strutture spezzate e ultracomplesse. Inutile soffermarsi su questo o quel brano che fondamentalmente vertevano sull'ultimo lavoro pubblicato; il songwriting di base era simile: morbidi passaggi darkwave prima dell'assalto all'arma bianca, un letale mix di Immolation, Gorguts, Year Of No Light e Deathspell Omega con bis finale richiesto dal pubblico letteralmente impallidito ed in visibilio di fronte a tale tracotanza. Un macchina infernale oleata alla perfezione. Inarrestabili.
Drawn Into the Next Void
Further Opening the Wounds
Dissolved Orders
The Dawn Is Hollow
Cutting the Throat of God
To See Death Just Once
Stare Into Death and Be Still
Encore:
Everything Is Fire
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