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SOLOMACELLO EPISODIO 1

Nella ormai consueta cornice del Circolo Magnolia di Segrate (MI), nelle immediate vicinanze dell’aeroporto di Linate, immersi nel verde contesto del parco che è di sponda all’Idroscalo, si è fatto corpo con una voracità dirompente un nuovo capitolo della creatura che racchiude l’immagine rumorosa, trucida ai limiti dell’acufene, e senza troppi compromessi della musica odierna underground. Trattasi della rassegna SoloMacello, che nella serata di giovedì 9 giugno costruisce il suo primo capitolo di una trilogia che continuerà con una seconda parte a fine luglio con protagonisti Napalm Death e Cattle Decapitation, e che si concluderà nell’eclissi dell’estate con la parte finale all’Arci Lo Fi con Intronaut e Shining. In questo primo episodio si alternano band di valore internazionale della scena noise ed hardcore, uniti a nomi italiani che assimilano il verbo del rumore incondizionato e dell’astio verso la società di oggi con amore viscerale. Il tempo, che non prometteva nulla di buono fino a pochi minuti prima dell’inizio della sarabanda, ha fortunatamente dato una tregua, e così sul palco coperto posto nell’immediato ingresso del Magnolia si è potuti assistere alla rassegna. Se bisogna cercare un piccolo punto a sfavore, è stato il ridotto utilizzo della zona outdoor antistante i due palchi maggiori, visto che il movimento è risultato ristretto negli spazi immediatamente vicini al palco che ha intrattenuto le band, assieme al beverage ed agli spazi dedicati al merch, e non si è protratto in zone più ampie che avrebbero senz’altro reso più confortevole la serata.

Musicalmente parlando, si è dato inizio alle danze con i francesi Sofy Major che, nonostante la posizione in cartellone fosse appena a ridosso degli headliner, hanno invece suonato come apertura del SoloMacello, e che quindi si sono visti costretti a suonare davanti ad un pubblico che risultava ancora sparuto ed in via di definizione e consolidamento, e chiaramente ancora freddo. In sostanza questo è stato l’unico neo della loro performance, perché la loro esibizione è stata senz’altro buona, concreta e priva di sostanziali sbavature, cercando di produrre potenza ed impatto. Avrebbero meritato una cornice di pubblico più soddisfacente e più caldo, in modo da poter ancor di più enfatizzare le loro doti.


Dalla Francia si ritorna a Milano, ma non la Milano dall’immagine fashion propinataci dalle riviste patinate e da certi mass media. Questa è una Milano densa, marcia, grassa, altamente misteriosa, e per questo ricca di fascino e suggestione da annusare ed assaporare. Ci si addentra nei territori dei Gordo, trio che ha unito il noise più apocalittico con un gusto della melodia davvero di prim’ordine. Merito, da una parte, delle sezioni ritmiche che il basso distorto del leader Miky Bengala e la batteria di Guido Montanarini hanno saputo intessere con tenacia e vigore, e dall’altra dalle linee di tastiere create da Alessio Capatti che si inseriscono a pennello nel telaio musicale prodotto dai precedenti due componenti, e dando quella farcitura gustosa, ed allo stesso tempo atmosferica, che rende quel prodotto una leccornia gustosa ai nostri palati baffuti e barbuti. Le storie narrate dal tastierista stesso sono poi la ciliegina giusta in stato di decomposizione che rende il tutto ancora più avvolto nel mistero più profondo. I Gordo hanno ancora una volta dimostrato di essere un collettivo con una ruvida intraprendenza e con la sana intenzione di non fare sconti a nessuno.


Il pubblico si è progressivamente fatto più numeroso ed interessato, e l’interesse si dimostra palpabile quando sul palco si palesa una band che ha ridisegnato negli ultimi tempi le tele del nichilismo e dell’odio con mano pesante, ristrutturando profondamente gli stilemi prodotti sino a quel momento. 
Ci si sposta sulle sponde dell’Arno con gli Hate & Merda, duo chitarra e batteria puntualmente imbacuccati di passamontagna, produttori di due album che hanno colto l’interesse della critica e generato proseliti forse impensabili, dato che il loro hardcore marcissimo è intriso di insospettabile qualità, a giudicare dalla facciazza di quei brutti ceffi. È pur vero però che le sensazioni racchiuse su disco non vengono ad esprimersi appieno sul palco. A momenti in cui si palesa efficacemente il senso di distruzione interna dell’animo umano e che musicalmente viene ben rappresentato dalle note terremotanti e disturbanti proferite, si alternano autentici punti dormienti (se non proprio punti morti) che affievoliscono gradualmente il senso di interesse, lasciando l’ascoltatore un po’ interdetto ed indeciso se dare o meno una valutazione positiva allo show. E neanche la partecipazione del violoncellista Matteo Bennici (al quale è stato dedicato un post-show alla fine della serata negli spazi interni del Magnolia che ha destato particolare interesse) ha contribuito ad innalzare il livello. Ma forse il fatto di entusiasmare il pubblico non è l’obiettivo che gli Hate & Merda si pongono, quanto piuttosto creare inquietudine ed alterazione dello stato mentale. E quest’obiettivo è stato in parte centrato. In location un pelo più contenute forse si riesce a centrare maggiormente quest’obiettivo.


La parte forte della serata è dedicata ad una band che è tra i padrini del noise e del post-hardcore internazionale, da circa 25 anni a questa parte. Se l’intento è quello di stendere l’ascoltatore a colpi di ritmo marziale e di schitarrate ruvide e spessissime, allora gli statunitensi Unsane fanno al caso proprio. E nella loro buona oretta di esibizione hanno dato libero sfoggio del loro senso di appartenenza al noise più dirompente e travolgente, con le urla pregne di acidità di Chris Spencer che hanno creato scompiglio al pari delle telluriche linee musicali, sorrette da una prestazione alla batteria di Vinnie Signorelli assolutamente trascinante e devastante, tanto è stato il ritmo e lo sforzo sovrumano creato. Braccia che volavano da tutte le parti a cercare piatti e rullanti con un disegno perfetto, e le prestazioni al basso e alla chitarra di elevato carattere. È forse superfluo dire che dall’inizio alla fine si è creato il pogo più incessante e frenetico, trascinato dai ritmi enormi proferiti dal palco. C’è stato entusiasmo, molto entusiasmo, ed un’accoglienza chiaramente calorosa per una band che di questo genere ha costruito un pezzo importante di storia. Consiglio per la gente più morigerata ed abbottonata: se non volete tornare a casa con la camicia a brandelli e con i lividi sulle braccia, state alla larga dal vortice di stampo Unsane, perché sarete costretti a constatare il prezzo da pagare di fronte a calamità del genere. Consiglio per chi invece non gliene frega una mazza di svegliarsi la mattina dopo con torcicollo e disturbi uditivi vari: con gli Unsane troverete pane per i vostri rimanenti denti.

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