SOFT MOON
Un fragoroso muro di suono contraddistinto da patterns chitarristici, figli leggittimi dei Pink Floyd, tastiere alla 65 DaysOfStatic, batteria poderosa ed un basso preminente, ci accolgono al nostro ingresso in sala; tutto ciò corrisponde al sound dei Maserati. Considerando che si trattava di un giorno infrasettimanale, il turno di champions league, la crisi ed altri fattori quali l'indomani lavorativo, il locale era gremito al limite della capienza; di questi tempi equivale ad un successone, nonchè a testimoniare l'elevato status raggiunto dalle band in questione. Il pubblico si divideva tra darkettoni venuti per i Soft Moon, gli psicherockers o spacerockers dei Maserati e coloro che son venuti per curiosità, cioè i non appartenenti a nessuna categoria classificabile. Tornando ai Maserati, ballad psichedeliche stratificate da rumorismi al calor bianco, un batterista tsunamico che pesta le pelli a più non posso, supportato da un pulsante basso post punk, hanno creato un trasporto talmente coinvolgente che era impossibile stare fermi; tanto che il set durato solo 45 minuti è stato così intenso da volar via in un flash, e ci ha lascianti trepidanti in attesa di altri brani che purtroppo, per rigor di scaletta, non hanno potuto eseguire. Con i Soft Moon si entra in tackle nei gloriosi anni '80 sotto l'egida del dark elettronico (senza contaminazioni goth) e delle atmosfere monotone e monolitiche dei Suicide (oggi sarebbe drone elettronico). Una fitta nebbia ammanta di mistero il palco non appena il trio americano fa capolino; drum machine roboante sulla quale il batterista disegnava tempi semplici a ricamare la possenza dei beat elettronici, chitarre riverberate di chiarissima matrice Robert Smith (The Cure - chissà cosa sarebbe stato il dark senza di loro?), basso pulsante e continui urli/schiamazzi di Luiz Vasquez (voce) alla Andrew Eldritch e i suoi Sisters Of Mercy (degli esordi) saccheggiati anche nelle atmosfere. I Soft Moon si sono divertiti a rinverdire i fasti dei Sisterhood con il loro dark elettronico venato di tribalità tipica dei Virgin Prunes ammantati dalle atmosfere nebbiose come le fumanti macerie dopo un terremoto, o dopo l'esplosione di una bomba. Per non farsi mancar nulla, ma proprio nulla degli eighties, anche una spruzzatona di Alien Sex Fiend periodo "EST, Trip To The Moon" (tanto che il brano in questione ne sembrava la cover, ed un altro simile ne hanno proposto durante i tanto richiesti bis), ne è stato il completamento ideale allegato ad un altro pezzo dark wave melodico alla Danse Society. Il cantante si è dimenato per tutto il set tra urli, congas elettroniche, macchine e la chitarra, creando dei paesaggi onirici, oscuri e spettrali (come la loro presenza sul palco). Siamo rimasti talmente catturati ed estasiati da questa performance che abbiamo deciso di acquistare il nuovo disco 'Zeros' e l'abbiamo ascoltato durante il ritorno a casa. Tale è stato il rapimento durante il set, quanto altrettanto cocente la delusione per un cd troppo sperimentale, dilatato, debordante e senza quelle atmosfere e quella batteria (su disco molto poco presente) che ci aveva trasportato di 30 anni indietro durante tutto il live. Peccato.
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