SALEM'S POT
Il buon MartianArt è riuscito ancora una volta ad assemblare una serata cosparsa da capo a piedi di sonorità intense e penetranti, di quelle che ti schiaffeggiano senza ritegno, senza avere la benché minima forza di reagire di fronte a cotanta possanza. La cornice del Blue Rose Club di Bresso (MI) è sembrata adatta ad accogliere il lato sinistro e misterioso della musica, concentrando nella serata di venerdì 23 giugno il nuovo capitolo della saga delle Cronache Marziane.
Battezzano la serata quegli acidissimi milanesi dei Satori Junk, ennesimi figli dei fumi densi e spregiducati degli Electric Wizard e degli Sleep, e che dal vivo si dimostrano ancora una volta concreti come pietre lanciate nel mucchio a tutta velocità. Le visioni vocali e le linee sonore cariche di effetto di Luke provocano un’evocatività quasi magistrale, che attrae e convince; fa cantare la sua tastiera ricordando i fantastici anni ’70 con onore e dedizione. I suoi compagni non sono di certo da meno: la sezione ritmica è martellante, con Nachos alla batteria in particolare che fa affiorare i battiti dell’oltretomba, ed altrettanto perentoria è stata la prestazione di Cristian alla chitarra, che dimostra sempre come si possa essere eccitati a dismisura nel suonare il proprio genere preferito. Una mezz’ora dove si è sentito soprattutto il materiale già presente nel disco di debutto, dove si è inserita anche nuova musica che aspetta solo di essere pubblicata su disco, per la gioia degli sbirrazzati fans del doom.
Dalla pesantezza dei suoni si passa, in un battibaleno, alla riflessione, all’attenzione certosina verso i particolari, che sono le basi essenziali per entrare in sintonia con il mondo musical-spirituale di Lili Refrain. Per chi l’ha potuta godere dal vivo, come il sottoscritto, varie volte, è comprensibile che si possa storcere il naso nel comprendere che anche a lei venga dedicato un minutaggio limitato. Ma lei non se ne cura, anzi. Costruisce un set in cui riesce, come sempre, a comprendere tutto ed a rendere perfettamente credibile il suo concetto ed i suoi disegni musicali. Il suo loop è ormai colonna portante della sua vita artistica, ed in questo universo la sua abilità vocale e il suo tocco che rende ogni strumento (dalla chitarra alle percussioni) perfettamente in sintonia con il suo equilibrio vitale si connettono provocando una scintilla emozionale che solo musiciste del suo calibro sanno dare, e che rendono credibile anche una versione quasi al fulmicotone, o “chipmunk” come annunciata da lei stessa, di “Nature Boy” che dimostra come ogni dettaglio venga studiato e interpretato nei minimi dettagli, adattandolo al contesto che a lei viene disegnato. Abbiamo inoltre notato che ultimamente, in ogni suo live, c’è spazio per la sperimentazione dei nuovi brani che dovranno uscire nell’imminente futuro, e che dimostra una continua voglia di provare e di migliorare, sperando che alla fine queste prove arrivino ad un prodotto finale che sicuramente sarà di forte impatto emozionale. Lili Refrain è una musicista che ha un grande dono: di essere nata già al top della sua classe musicale, e che da quel livello non è mai scesa. Lili Refrain: una donna a cui le vertigini le fanno un baffo grande così.
Con il prossimo set si attua questa dimostrazione che magari è nota a molti: che le performance dal vivo possono risultare molto più potenti e selvagge di quello che si ascolta su disco, per quanto il materiale su disco si dimostri altamente qualificante. Cominciamo con il primo esempio, quello dei britannici Bright Curse, un power trio che, specialmente con l’ultimo album ‘Before The Shore’, hanno saputo mettere in mostra come il doom classico possa essere interpretato in maniera molto elegante e passionale, inserendo anche elementi derivanti da un rock di stampo classico che rendono molto più accessibile il prodotto. Ebbene, sul palco del Blue Rose questi tre giovanotti hanno dimostrato di elevare all’ennesima potenza il loro sound, giocando assolutamente su una sola e fondamentale caratteristica: quella di essere una band che suona molto molto molto bene, una band fortemente espressiva ed impeccabile sotto il profilo sia tecnico, che di groove. Romain Daut si dimostra un buon cantante per questo tipo di genere, ma il meglio di sé lo esprime quando maneggia la chitarra con assoluta autorità e sicurezza, disegnando note da brividi. A ciò si aggiunge la classe micidiale che Zacharie Mizzi alla batteria ha al suo interno; suona il suo strumento con una tecnica invidiabile, ed è ben supportato dal compagno Max Ternebring al basso, donando un ritmo acceso e prepotente lungo tutto il set. I Bright Curse sono una band con un’amalgama fortissima, dimostrata dai molti momenti in cui si liberano nella costruzione dei vari passaggi strumentali, dove si nota una sintonia altissima. La soddisfazione nei presenti si è trasformata in headbanging sostenuti, per poi finire in sorrisi a pieni denti sulle labbra.
Lo stesso discorso si può fare per la musica dei Salem’s Pot. Ascoltando i loro album, in particolare proprio l’ultimo ‘Pronounce This!’, si nota una band che attua un sound dalla base dura, ma alla quale si appoggia una melodia particolarmente sinuosa ed elegante, che si rende piuttosto accattivante anche a chi non è particolarmente avvezzo a suoni marcatamente monolitici. Dopo un’attesa a tratti snervante dovuta al completo montaggio della strumentazione della band svedese, con annesso articolato line-check a cui si accompagnano facce piuttosto contrariate dei presenti, in orario tardo li ritroviamo infine mascherati come nella migliore Venezia di qualche secolo fa, e iniziano a bombardarci di sano e vero stoner doom. Un sound portentoso, ficcante, dritto all’obiettivo, che è quello si sballottarci a destra e a manca con la testa e con il corpo, e i Satori Junk appostati in prima fila lo hanno dimostrato appieno. I Salem’s Pot hanno messo in mostra una performance di grande fattura, molto positiva e potente, con lunghi tratti in cui la ritmica doom è stata al limite dell’ipnotico, per la sua capcità di fare breccia velocemente nei corpi dei presenti. Le bordate sono state tante e tutte di gran livello, sia quelle fatte scaturire dall’ensemble di chitarre e basso-batteria, incazzose come non mai, sia quando la tastiera prendeva il sopravvento e ci mandava in orbita con un biglietto sola andata verso le più lontane galassie. Se dalla parte del pubblico il concerto è stato molto avvincente, dalla parte del palco si sono avvertiti in diverse circostanze dei momenti di sofferenza e di inquietudine soprattutto da parte del tastierista e del chitarrista principale, dovuti ad una marcata deficienza delle spie sul palco che ha reso particolarmente ostica la comunicazione tra i musicisti, e quindi di interpretare i brani al meglio. Ma, come descritto anche durante la performance dei Bright Curse, anche in questo caso siamo di fronte a musicisti parecchio preparati, che sanno sopperire a queste mancanze, facendo al contempo divertire il pubblico. Con loro si chiude una serata altamente positiva, in cui c’è stato un sano divertimento sia del pubblico presente, che dei musicisti che ci hanno accompagnato. Inoltre, è da rimarcare che tutti i musicisti si sono supportati a vicenda, e questa è la mossa sostanziale e fondante per poter far accrescere maggiormente lo sviluppo della scena underground, non solo di questi generi. La reciprocità, il sostegno, il supporto, il rispetto: questi sono i termini che in misura maggiore si sono concretizzati nella serata del Blue Rose. Sta sia a noi avventori, che ai musicisti ed agli addetti ali lavori cercare di coltivarli, di curarli e di svilupparli nella maniera migliore.
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