RIVERSIDE
Arriviamo sul luogo del delitto esattamente dieci secondi prima dell’inizio del concerto, ed all'ingresso troviamo una moltitudine di gente che nella pìù ottimistica delle previsioni non ci saremmo aspettati: il locale era pieno fino alle retrovie, a testimonianza dello status che la band ha raggiunto (non per niente incidono per InsideOut Records), e del lavoro di Radio Rock che sa indirizzare i gusti degli ascoltatori. L’onore di aprire le danze è toccato ad "Acid Rain" che ha scaldato i motori dell’eterogeneo pubblico presente (dai teenager ai ragazzi più stagionati), prima del pezzo più Tool del loro repertorio: "Vale Of Tears". Il progressive rock/metal è il loro pane quotidiano, svisate di hammond rendono molto vintage il sound di "Reality Dream" che precede "Lament", una ballad contagiosa e graffiante estratta dall’ultimo lavoro 'Wasteland', targato 2018, che verrà suonato nella sua interezza nel corso dello show. "Reality Dream" presenta diversi spunti Goblin-iani intrecciati a sfuriate Dream Theater; il vocalist, nei frequenti e simpatici interventi ha raccontato un curioso aneddoto: ha riferito che questa era la seconda volta che venivano a suonare a Roma, ma nella precedente discesa, anche se la data gli fu proposta come Roma, in realtà era un locale a 40 km dalla capitale e circondato solamente dalla campagna, quindi ora potranno annoverare di aver suonato veramente nella Caput Mundi.
Il leader ha usato molta ironia nel presentare la band: ci paragonano ai Porcupine Tree, agli Anathema, ai Dream Theater, quindi saremmo curiosi di sapere a quale altra band potremmo somigliare: noi ci permettiamo di aggiungere Opeth, Goblin e Deep Purple. I Porcupine Tree, infatti, si materializzano in "Saturate Me", "Guardian Angel", caratterizzata da chitarra acustica e tastiere, è una delle tracce prediletta dal combo perché fatta di sole tre note anziché le solite ventisette (altra battuta del leader). "Lost", con il suo ritornello "Come By The River", è un altro dei momenti cardine dell’esibizione; un organo dal sound granuloso l'ha fatta da padrone in "Left Out", un mix riuscito di Deep Purple e Porcupine Tree. ‘Wasteland’ ha tirato in ballo le diverse anime del gruppo: da un duello di chitarre morriconiano sono sfociati in un folk apocalittico con tanto di voce baritonale per virare verso un contagioso rock settantiano dominato, tanto per cambiare, dall’onnipresente hammond. Nel bel mezzo di "Panic Room", il secondo dei bis, i musicisti smettono improvvisamente di suonare e dal pubblico parte il coro: "Sweet Child Of Mine", ma questi non accennavano minimamente a riprendere gli strumenti finché l’eco dei fan non si è fatto più insistente, solo allora hanno ripreso da dove avevano lasciato. Per ricordare il chitarrista/fondatore, Piotr Grudzinski, scomparso nel 2016, ripropongono una toccante versione, molto Anathema/Pink Floyd nell’incedere, di "River Down Below" (che avevano già sviscerato nelle spire di "Wasteland"), a conclusione del set.
Due ore e quindici minuti di concerto, quante band conoscete che suonano così a lungo? A memoria d’uomo, le contiamo sulle dita di una mano monca. Complimenti ai polacchi che hanno saputo tenere il palco così a lungo, trascinando, cullando ed intrattenendo anche grazie alla verve del frontman, e senza far calare mai l’attenzione, ed alla No Sun Music che si è dimostrata, una volta ancora, oculata e vincente nella scelta delle band da proporre. Ringraziamo Eugenio Stefanizzi per la gentile concessione delle foto.
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