PLAY IT LOUD! FESTIVAL II
Per il secondo anno consecutivo, il Buddha di Orzinuovi (BS) ha l’onore di ospitare il festival dedicato ai più puri e duri tra i die-hard fans del metallo, il Play it loud. Per questa edizione, il ruolo da co-headliner è affidato all’accoppiata d’eccezione a stelle e strisce Manilla Road ed Helstar, ma è un po’ tutto il bill a splendere, in quanto per la giornata odierna sono previste esibizioni sia di vecchi leoni come gli oscuri Cloven Hoof, i redivivi Sabotage (con Morby alla voce) e gli eleganti Adramech, ma anche di giovani (e non) bands dal tiro (classico ovviamente) micidiale, come Frozen Tears, Tarchon Fist, Alltheniko, Elixir e Berserker. Sono proprio i Berserker ad aprire le danze, e per il tempo necessario a proporre quattro dei brani che compongono il loro debut ‘Blood Of The Warriors’, si fanno apprezzare senza far gridare al miracolo ma dimostrando una professionalità notevole nonché una preparazione tecnica di prim’ordine. [billiecreep] Di tutt’altro tipo l’esibizione degli Alltheniko, che hanno sparato in faccia al pubblico il loro speed thrasheggiante condendo l’esibizione con tanta ironia e simpatia. Siparietti gradevoli all’insegna della goliardia e della volgarità casereccia hanno intervallato le cinque canzoni proposte, tra le quali svetta, in anteprima, “Thunder And Steel”, direttamente dal prossimo album ‘Devasterpiece’. Finale di set con addirittura l’esibizione di una figurante sul palco a mò di fantasma sexy. [billiecreep] Cinque i brani anche per i fiorentini Frozen Tears, che si sono limitati a pescare solamente dagli ultimi due albums prodotti, lasciando purtroppo da parte i brani provenienti da ‘Way Of Temptation’ e dal debut ‘Mysterius Time’. Molto apprezzati dal pubblico, hanno dimostrato una preparazione tecnica di tutto rispetto. [billiecreep] Compatti e potenti, i Tarchon Fist, guidati dal veterano Lucio Tattini (il nome Rain vi dice nulla?), non potevano certo mancare a questo festival. Sei pezzi, “Eyes Of Wolf”, “Black Gold Fever”, “Metal Detector”, “Bad Man Mania”, “Ancient Sign Of The Pirates” ed in finale la splendida “It’s My World” per conquistare e convincere tutto il pubblico. [billiecreep] Non avevo mai sentito gli Adramech prima d’ora, ma devo dire che il loro sound, elegante ed ipnotico, basato su una tecnica eccellente, mi ha veramente colpito positivamente, così come credo abbia fatto con praticamente tutta l’audience, vista l’intensità del coro che si alzava dal pubblico per incitarli, coro che si è addirittura trasformato in boato per l’esecuzione di “Zephirus”. Davvero un ascolto da approfondire in futuro! [billiecreep] Per la prima volta in Italia dopo moltissimi anni di attività grazie agli sforzi di Giuliano Mazzardi, boss della My Graveyeard, i londinesi Elixir, guidati dal singer Paul Taylor, si sono dimostrati davvero un grande gruppo, e la loro prestazione è stata davvero ottima. Ha stupito non pochi il calore e l’affetto elargito dal vocalist nei confronti del pubblico, decisamente poco british, e questo non fa che rendere ancora più apprezzabile la loro esibizione odierna. [billiecreep] Attesissimi per la loro terza esibizione dopo la reunion avvenuta nel 2006, i Sabotage hanno saputo dare al pubblico quello per il quale era venuto, ovvero un muro di puro heavy metal italiano direttamente in faccia. Otto i brani, durante i quali nulla è andato storto, per una delle esibizioni migliori di giornata, tecnica e ricchissima di attitudine vera, oppure (decidete voi) per la migliore delle esibizioni della prima parte, prima cioè che i nomi grandi davvero entrassero in gioco. [billiecreep] Terminata la prova dei Sabotage, ecco un’altra attesissima band straniera: stiamo naturalmente parlando degli americani Steel Assassin, vera e propria band di culto per ogni appassionato di epic metal grazie ai loro trascorsi ottantiani (raccolti nel famoso bootleg ‘From The Vaults’) ed ora nuovamente alla ribalta con una formazione rinnovata nella sezione vocale (con l’innesto del poderoso John Falzone in luogo di Doni Escolas) e un nuovo, grandissimo, disco (‘War Of The Eight Saints’). Era dunque grande l’attesa di vedere di cosa i nostri sarebbero stati capaci in sede live, dopo averli abbondantemente apprezzati durante anni di prolungati ascolti: si trattava infatti della prima data assoluta sul suolo italico per la band. Difficile che dei professionisti come gli Steel Assassin possano deludere i propri fans accorsi per vederli dal vivo, e infatti così non è stato: la band è stata un autentico schiacciasassi, snocciolando uno dopo l’altro tutti i migliori brani che fanno parte della loro (purtroppo) esigua discografia, con i due chitarristi Kevin Curran e Mike Mooney particolarmente in evidenza. A mio avviso i momenti più emozionanti sono stati l’esecuzione del dittico “Spartacus”/”Hawkwood” e delle storiche “Barabbas” e “Attila The Hun”, anche se difficilmente potrei individuare qualche calo di tensione durante una così esaltante esibizione. Sarà difficile, certo, ma mi auguro di poterli rivedere dal vivo al più presto. [chiccothebest] Dopo l’eccellente esibizione degli Steel Assassin, è la volta dei NWOBHM masters Cloven Hoof, in uno dei loro rari shows nell’Europa continentale. La loro quasi trentennale carriera ne fa delle leggende viventi della scena heavy metal internazionale, e anche per loro dunque era grande l’attesa per questo primo show italiano dopo così tanti anni di successi. La band non ha certo deluso le attese, dando ovviamente il meglio di sé nell’esecuzione di classici quali “The Gates Of Gehenna” e “Laying Down The Law”, tanto per citarne un paio. Rimango invece piuttosto perplesso quanto ai più recenti brani del loro repertorio, decisamente troppo in linea con le ultime tendenze del metal moderno (che io, per inciso, non gradisco affatto): ma a noi piace ricordarci di loro come una delle band fondatrici della NWOBHM, e neanche i più sciagurati tentativi di rinnovamento potranno intaccare la loro buona fama, conquistata in anni e anni di onorata carriera. [chiccothebest] In un festival come il Play It Loud sembra davvero impossibile riposarsi: neanche il tempo di riprendersi dall’esibizione dei Cloven Hoof, che già il pubblico viene richiamato sotto il palco dalle prime note degli Helstar. Qualunque fan del US metal conosce bene il valore di questa band, autrice di quattro fra i dischi più importanti di questo genere (Burning Star, Remnants Of War, A Distant Thunder e Nosferatu, composti fra il 1984 e il 1989). Anche per loro, poi, vale il discorso fatto per le altre bands straniere presenti a questa seconda edizione del Play It Loud: non è affatto facile vederli esibirsi in Italia, così che ogni loro concerto diventa un evento. Come per i Cloven Hoof, anche nel loro caso la qualità dei vecchi brani (come “Evil Reign”, “Run With The Pack”, “The King Is Dead” e molti altri dei classici eseguiti dalla band texana) surclassa nettamente quella dei brani più recenti, a mio modo di vedere piuttosto deludenti. Ad ogni modo un concerto straordinario, con un James Rivera in forma smagliante, parzialmente rovinato solo da una qualità del suono non proprio all’altezza della prestazione offerta dal gruppo. [chiccothebest] L’esibizione più attesa del festival era naturalmente quella degli headliner Manilla Road, assenti dai palchi nazionali da diversi anni. E’ noto che i quattro ragazzi del Kansas sono seguiti in Italia, così come in Germania, in Grecia e in Spagna, da un nutrito manipolo di fans appassionati, che non mancano mai di presenziare ai loro shows e di sostenere la band con tutto l’affetto di cui il pubblico europeo è capace. Ovviamente l’esibizione del Play It Loud non ha fatto eccezione: anche qui un folto pubblico geograficamente eterogeneo, nonostante la stanchezza per una giornata così lunga (ma così densa di soddisfazioni!), è restato per quasi due ore sotto il palco del Buddha di Orzinuovi ad acclamare i propri idoli, che da parte loro hanno risposto con una prestazione superlativa e assolutamente degna della loro fama. I classici ci sono tutti: da “Necropolis” a “Mystification”, da “Divine Victim” a “Flaming Metal System”: penso che qualunque fan della band non possa non dirsi pienamente soddisfatto. Consentitemi un unico appunto: la camicia del singer Bryan "Hellroadie" Patrick era davvero fuori luogo! Al di là di queste note di costume, non mi resta altro da fare che rinnovare i complimenti ai Manilla Road, alle altre bands che hanno calcato il palco del PIL e naturalmente a Giuliano “Helicon” Mazzardi, mastermind di quello che ormai possiamo definire come il più importante festival heavy metal italiano. Al prossimo anno! [chiccothebest]
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