DEATH ANGEL
Ad inaugurare questa serata metal piacentina ci pensano quelle vecchie glorie degli Extrema, che con una manciata di brani danno le prime scosse al pubblico presente. A ruota sono seguiti dai Demolition, band che sinceramente non conosco, ma che si rivela comunque in grado di tenere alta la tensione verso gli headliner della serata con un thrash metal robusto e senza compromessi. Si sterza con vigore verso coordinate più melodiche col death/metalcore dei Mercenary: i sei musicisti danesi sono autori, a mio modo di vedere, di una performance all’altezza (anche se inseriti in un contesto a loro non congeniale), che coinvolge ed emoziona, sfruttando nel migliore dei modi la caratteristica doppia voce. Promossi dunque, ma il pubblico aspetta con impazienza il piatto forte della serata… Quando i Death Angel salgono sul palco le lancette dell’orologio indicano grossomodo la mezzanotte, sintomo di una serata che si è protratta più in là del dovuto: è tardi “ma chi se ne frega, in fondo è sabato sera no?” ci suggerisce il frontman Marc Osegueda. Pieno consenso dal pit. Avevo avuto la possibilità di vedere il quintetto di origine filippina già qualche anno fa, ad un No Mercy Festival dove i ragazzi erano riusciti nell’impresa, complici anche suoni migliori, di far passare l’esibizione dei Testament in secondo piano; ora è un piacere ritrovarli in questo ottimo stato di forma pronti a trascinare gli astanti in un’ora e mezza di thrash metal d’altri tempi. La setlist, come in ogni buon tour promozionale che si rispetti, privilegia (non poco in questo caso) l’ultima release (‘Killing Season’), pur concedendo il meritato spazio anche ad alcuni episodi più datati, ma sempre attuali e dannatamente efficaci. Senza evidenti pecche, lo show dei Death Angel si snoda attraverso i continui ringraziamenti di Marc ai presenti, che ricambiano col giusto calore, soprattutto quando vengono eseguite le canzoni più apprezzate, come “3rd Floor”, “Kill As One” e la più recente “Steal The Crown”. Da applausi anche “Seemingly Endless Time” (dal vivo è veramente tutt’altra cosa) e l’anthemica “Thrown To The Wolves”, vera hit di un’esibizione convincente dall’inizio alla fine, ma che sarebbe stata ancor più gradita con una scaletta più riconoscente verso gli eighties.
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