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PLACEBO

Rock in Roma. Si è conclusa da poco l’esibizione degli L.A. gruppo rock Spagnolo senza lode e senza infamia che comunque ha fatto il suo e coinvolto abbastanza i presenti. Brian Molko e company approfittano di un attimo di distrazione generale fra il pubblico per entrare improvvisamente in scena con la potente "B3". Il sound è apparso da subito energico e corposo, grazie anche al supporto di ottimi musicisti tuttofare alle tastiere, al violino e al basso, visto che Stefan Olsdal ha suonato più la chitarra che il suo strumento originario. Acustica e volume buoni, per lo meno dalla nostra posizione, prime file centrali sotto il palco. Il ritmo tirato nonostante il cambio chitarra di Molko ad ogni canzone, un paio di perle come "Every You and Every Me" ed "Allergic (To Thoughts of Mother Earth)" da 'Without You I’m Nothing', l’innegabile stato di forma della band, ed il pubblico, non numeroso, ma assolutamente partecipe che ha cantato dall’inizio alla fine "Loud Like Love", "Rob the Bank", "Too Many Friends", "Song to Say Goodbye", "Special K", hanno contribuito a rendere l’atmosfera carica di adrenalina. Note dolenti? La durata, innanzitutto. Venti canzoni per novanta minuti scarsi. Un po' poco per un gruppo con alle spalle diciotto anni di carriera e sette album in studio. Criticabile in parte anche la scaletta: dopo le prime tre canzoni abbiamo capito che sarebbe stata più o meno la stessa e nello stesso ordine dello scorso novembre a Bologna. Non che chi scrive non ami il notevole 'Loud Like Love', dal quale sono stati tratti ben sette brani, e che in questi mesi ha fatto sempre più suo. Le note e le parole di "Begin the End", prima canzone del bis, hanno fatto vibrare l’anima, e per qualche minuto sono "spariti" tutti intorno a noi. Di certo, invece, 'Meds' non è fra i nostri album preferiti, e da lì hanno suonato sei tracce. Questa sera abbiamo avuto la conferma che l’orientamento della band inglese è quello di tralasciare del tutto grandissimi successi dei primi album: niente "Nancy Boy", "Come Home", "Bruise Pristine", "You don't Care About Us", "Slave to the Wage", "Special Needs". Forse perché l’età media del pubblico dei Placebo si è abbassata notevolmente, forse perché la metà dei presenti non sa nemmeno quali siano i loro primi dischi, o forse perché loro stessi non li sentono più propri, qualunque sia il motivo per cui le hanno scartate a noi sono mancate quelle canzoni. E' mancato il rivivere le emozioni di quando chi scrive era adolescente, e li ascoltò per la prima volta dal vivo all’Heineken Jammin’ Festival del 1999. E' mancato il ritrovare ciò che ci ha avvicinato alla loro musica. Ciliegina sulla torta, la numerosa presenza di bimbeminkia decisamente poco interessate alla musica, e molto invece a gridare ininterrottamente "Brian ti amo, portami via con te, sposami". Eppure, tutto sommato what’s The difference anyway? A nostro parere vale ancora la pena ascoltare i Placebo dal vivo.

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