PARADISE LOST
'The Plague Within' ha segnato il ritorno discografico in grande stile dei britannici Paradise Lost, paladini indiscussi del gothic metal internazionale; un ritorno a certe sonorità ed a intense melodie che ricordano volentieri i fasti più duri e lugubri della prima metà degli anni '90, quando album come 'Gothic', 'Shades Of God' e 'Draconian Times' spadroneggiavano nel repertorio mentale del metallaro dal cuore di ghiaccio. Si nota il ritorno all'utilizzo del growl da parte del frontman Nick Holmes, che ha dato prova di sé nell'ultima uscita firmata Bloodbath, la prima con Holmes alla voce, e che ha fatto risorgere i fans della prima ora del Paradiso Perduto. E quale migliore occasione poter assaggiare dal vivo alcuni pezzi di 'The Plague Within' se non quella della serata svoltasi lunedì 2 novembre (guarda te il caso...) al Live Music Club di Trezzo sull'Adda (MI). A provare a riscaldare la platea del Live (per la verità non particolarmente gremito, a differenza delle altre date del tour) ci pensano una felice realtà che in questi ultimi mesi si sta sviluppando: lo stoner-doom dei Lucifer, fronteggiati dall'ex voce delle The Oath, la bionda ed avvolgente Johanna Sadonis.
Lucifer che partono subito con la marcia innestata e col piede sull'acceleratore grazie all'accoppiata "Anubis / Abracadabra", che con il loro tiro sostenuto e trainato soprattutto dal basso di Dino Gollnick e dalla chitarra dell'ex Cathedral Gaz Jennings sembrano iniziare a creare la giusta atmosfera, accentuata dalla voce e dalla presenza scenica della Sadonis che vanno a nozze su queste note. Peccato che a disattendere le prime previsioni ci pensa una non convincente esibizione di "Sabbath", con il suo doom non particolarmente incisivo, soprattutto all'interno di palchi e locations dell'ampiezza e della capienza del Live. Da quel momento si alternano ottimi spunti, come in "Purple Pyramid", la movimentata "White Mountain" con Gollnick sugli scudi che fa cantare le sue corde con una tensione invidiabile, e la conclusiva "Izrael", ad altri momenti di flessione, come in "Morning Star". La prestazione della Sadonis si è rivelata comunque all'altezza, un'ottima voce calda e profonda, con buone estensioni, ed una presenza che sicuramente gli occhi maschili hanno notato con interesse. Bisogna però riconoscere che palchi più contenuti, con un'acustica a loro più dedicata e creando la giusta aurea di misticismo ed occultismo, sapranno rendere e risaltare al meglio le qualità della band, autori di un ottimo debutto discografico. Da notare infine che ho assistito a molti concerti negli ultimi anni, ma ancora non mi era capitato di vedere un'artista come la Sadonis dissetarsi con il succo di frutta, di chissà quale gusto, tra un pezzo e l'altro. Che possa forse diventare una nuova moda che spodesti lo scontato consumo di alcol?
Alle ore 22, sostenuti dall'eccitazione del pubblico, scendono in campo i protagonisti della serata, Nick Holmes, Greg Mackintosh e tutta la compagnia dei Paradise Lost, che con l'iniziale "No Hope In Sight", open-track di 'The Plague Within', vogliono cercare di mettere in chiaro la questione di creare uno show carico di suggestioni oscure miste a cattiveria. La band si dimostra subito carica e concentrata, caratteristica che si manterrà costante per l'intera esibizione. La voce di Holmes presenta invece degli alti e bassi: gli alti sono rappresentati da un growl deciso e lineare per tutta la sua lunghezza, segno di una sostanziale buona forma del cantante, accentuata anche da una discreta interazione col pubblico, che risulta convincente senza strafare in inutili esagerazioni; i bassi invece li si possono riscontrare quando usa le voci pulite, non particolarmente incisive, come se si volesse trattenere in qualche modo, interpretando quindi quelle parti più riflessive dei brani col freno a mano tirato; e non aiuta neanche il fatto che i volumi della voce non sono stati particolarmente elevati, avvantaggiando in compenso la resa musicale del resto della band. La setlist pesca molti brani tratti da 'The Plague Within', ma si dimostra comunque variegata. Ecco allora che vengono riassaporati brani fondamentali della band, come "The Painless", "As I Die" e la bellissima "Enchantment", accolti con calore dal pubblico. A queste si alternano la micidiale "Terminal", resa incendiaria soprattutto dal martellamento incessante di Waltteri Vayrynen; l'intensità di "Beneath Broken Earth", le evocazioni occulte miste all'irruenza death di "Flesh From Bone", il sapore gotico di "An Eternity Of Lies". L'esibizione si conclude con il dark in salsa radiofonica di "Say Just Words", a testimoniare ulteriormente il loro girovagare in lungo e in largo nella loro discografia, riassunta in una buona ottantina di minuti.
Prestazione di prim'ordine da parte della band, con un Mackintosh maestoso, e sorretto magnificamente dai suoi compagni. Onestamente da Holmes non potevamo chiedere di più, gli anni passano anche per lui, e a più di uno potrebbe sicuramente non avere entusiasmato la sua prestazione, che tuttavia è stata presente per gran parte dello show, nonostante i volumi non particolarmente ottimali della voce, anche se forse è una sensazione avvertita solo nelle prime file. La scelta di squagliarsela velocemente alla fine dello spettacolo non è stata accolta positivamente dal pubblico, che ha risposto con qualche fischio e segni di acclamazione per un ultimo pezzo da suonare, richiesta rimasta incompiuta. Quello che conta alla fine è il risultato che, nonostante varie dicerie e voci di corridoio, è stato sicuramente positivo.
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