NASHVILLE PUSSY
Erano un paio d'anni che i Nashville Pussy non si facevano vedere in Italia, risale al 2009 invece la memorabile calata con i Supersuckers. Stavolta ben tre date a disposizione degli amanti del rock: abbiamo pensato bene di non lasciarceli sfuggire. Al Traffic iniziano quasi in orario gli Hurricane, formazione capitolina devota in tutto e per tutto al verbo dei Mötorhead, persino l'abbigliamento del cantante/bassista è tutto in funzione di Lemmy. Il trio si esibisce davanti a poche decine di presenti, i volumi non sono al meglio e la proposta finisce per diventare un po' troppo monotona, complice anche una staticità e una derivatività lampante. Pochi i momenti di variazione rispetto al tema "Bomber"/"Ace Of Spades". Per riscaldare il pubblico, un modesto antipasto. Gli Helligators ci vanno pesante con un metal pieno di groove e influenze southern. La band è rodata, i componenti provengono da diversi act della scena romana, ma ciò non deve far pensare che siamo davanti a un side project senza infamia e senza lode. Anzi, sia quando i ritmi rallentano vertiginosamente che quando si va a insistere sul metal, i Nostri tengono sempre in mano le redini della situazione, complice una buona interazione col pubblico e musicisti che si divertono e fanno divertire. Una prestazione che vede suoni migliori e un esempio di cosa significa un suono grosso e imponente. Black Label Society meets Entombed. La sala si riempie, il roadie cincischia con il soundcheck e il pubblico sempre maggiore inizia ad acclamare i suoi pervertiti preferiti. Con una introduzione che stravolge una parte della colonna sonora di '2001 Odissea Nello Spazio', fanno la loro entrata in scena i quattro americani. La loro statura è evidente, con la semplicità dei grandi e un muscolare modo di porsi catalizzano subito l'attenzione. Grandi riff, sberle di hard rock veloce e sporco, la voce al vetriolo di Blaine è perfetta per il tiro dei Pussy. Sul palco sono le donzelle a scatenarsi maggiormente: la bassista Bonnie è precisa, respira rock 'n' roll e con la più esperta Ruyter attrae anche fisicamente diversi maschietti sotto le loro postazioni. L'età media degli utenti non è così bassa, anche se soprattutto nel pogo i meno che ventenni sono comunque presenti. Lo show è magistrale e, nonostante la musica sia relativamente facile, non si assiste ad alcuna sbavatura di attitudine o di impostazione generale dello spettacolo. Anche il corpulento batterista, necessariamente in disparte rispetto ai tre infuocati davanti a lui, condisce di colpi decisi la sua prestazione. I Nashville Pussy sono grandi professionisti (nessuna foto in faccia alla Suys, se no vi fa volare il cellulare) e non si tratta di un concerto punk in cui hai il contatto fisico con i musicisti (il roadie scaraventa a terra chiunque osa tentare di salire sul palco). La platea è sempre più calda, i brani del nuovo ottimo disco girano una meraviglia (su tutti "Everybody's Fault But Mine"), si canta il liberatorio "Keep On Fuckin'" e anche qualcosa di più orecchiabile come "I'm So High", si poga con le sassate di "Rub It To Death". Soprattutto si suda un sacco, tanto che il singer pensa bene di versarsi sulla capoccia un po' di birra per rinfrescarsi e inscenare la sua caduta a peso morto subito dopo. Gli encore finali fanno tremare il Traffic, e non solo per il volume esagerato: "Go Motherfucker Go" è il vangelo secondo i Nashville Pussy, quasi a invitarci ad andare a fare gli stronzi e a diffondere il rock più sudicio in tutto il mondo, proprio come loro. Una garanzia contro le fighette mosce.
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