INTERPOL
L’estate sta volgendo al termine, e il ritorno al routinario tram tram casa – lavoro ha trovato come parziale contropartita (per la delusione derivante dalla fine delle vacanze), uno degli ultimi concerti della stagione del Rock In Roma, cioè il concerto dei newyorchesi Interpol. Già passati dalla capitale quattro orsono in quel dell'Atlantico, del quale non abbiamo ricordi che lo hanno reso memorabile - anzi tra suoni mal gestiti e temperature infernali non fu di certo eccelso. Stavolta la location è all'aperto, ma il ritorno di correnti umide fa si che il caldo si avverta ugualmente e nemmeno un alito di vento ha aiutato a mitigare la situazione; il gelo lo portano gli americani con la loro proposta dalle sonorità fredde, e la prestazione del vocalist nei primi due brani suonati a ritmi blandi (nel mixing la voce era più alta rispetto agli altri strumenti facendo si che ogni minimo errore ne venisse amplificato) ci ha lasciati non poco perplessi in quanto l’incapacità a raggiungere gli acuti di “Say Hello To The Angels” e “Anywhere” gli han fatto prendere qualche stecca, e se il buongiorno si vede dal mattino...purtroppo succederà ancora nel prosieguo del concerto. "Narc" riporta il cantato allo standard cui siamo abituati su disco, mentre "Evil" alza l'asticella della performance in quanto Mr Banks si è dimostrato più a suo agio con le vocals baritonali ed il pubblico (abbastanza numeroso) ha ricambiato prontamente; “Lenght Of Love” è uno dei brani più essenziali della loro produzione, pre Joy Division periodo 'Warsaw', per la sua anima smaccatamente minimale e punk. La pixisiana "My Chemistry" si distingue dal resto del set per l'andamento sinusoidale, le rockeggianti “Everything Is Wrong” e "My Desire" sono sintomatiche della qualità dell'ultimo parto: 'El Pintor' e precedono le malinconiche “The New” e “Take You On A Cruise”. "Slow Hand" e “PDA” provocano più di qualche fremito e gran parte del pubblico balla e canta con trasporto; purtroppo l'infortunio del batterista ha costretto la band ad accorciare di parecchio la durata dello show, e l'unico bis che ci hanno ‘regalato’ ha lasciato l'amaro in bocca, nonchè ha fatto scappare più di qualche fischio. Se così non fosse stato avremmo detto che gli americani si sono comportati come dei farmacisti (con tutto il rispetto per la professione) piuttosto freddi nell’interazione col pubblico (tipico delle band post punk/new wave), ed essenziali nella durata della performance, ma l’incoveniente a cui hanno dovuto sottostare, loro malgrado, fornisce un alibi.
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