PHILM
Lo status di culto raggiunto da Dave Lombardo grazie alla lunga militanza dietro le pelli di quella macchina da guerra e provocazione chiamata Slayer (ed altre formazioni non convenzionali Grip Inc., Fantomas) ha attirato diversi fan, curiosi e anche più di qualche addetto ai lavori (fotografi, musicisti e recensori) numericamente pochi per la verità (rispetto alla capienza del locale).
Ad officiare la serata ci hanno pensato i romani Juggernaut dei quali mi viene difficile parlarvi per il semplice motivo che ho perso i conti di quante volte li ho visti dal vivo (sia con la formazione precedente in cui militava un cantante e si dilettavano con un postcore più standard pieno di screaming e breakdown, che con la nuova mutazione genetica a seguito del fall out postatomico in cui si sono trasmutati, cioè una creatura che dopo essersi cibata di swing, noise, jazzcore, post rock, tango, lounge, ambient e progressive rock (scusate se è poco) lo ha metabolizzato e sparato fuori in maniera del tutto personale rinunciando in questa nuova veste al cantato).
La performance è stata flawless (perfetta) totalmente incentrata sull’ultimo parto “Trama” che numerose recensioni entusiastiche ha collezionato. Gli incastri degli strumenti, i crescendo ed i diminuendo da brividi, le parti progressive e gli assoli letteralmente accattivanti, gli inserti jazz/tango/swing/lounge spiazzanti perché intervallavano o ammorbidivano il postcore che è sempre stata la loro prerogativa, e la risposta del pubblico è stata uno scroscio di applausi unanime al quale riesco a dare una doppia spiegazione: gli amici/fan venuti per loro sapevano perfettamente a cosa avrebbero assistito, mentre gli altri accorsi per i Philm sono rimasti letteralmente a bocca aperta per tanta nonchalance e maestria. Coesione mostruosa, sound epocale per un vulcano che sforna idee in quantità industriale.
E’ il turno dei Philm, che salgono sul palco senza colpo ferire, come una qualsiasi band alla prima assoluta (batteria posizionata davanti al palco dove solitamente staziona il cantante, bassista e chitarrista/singer situati ai lati; a dimostrazione della reverenza di cui parlavo sopra), ma ciò che ne segue è qualcosa che pochi avrebbero previsto.
Un frastuono terremotante come di una catastrofe imminente; la strada che gli americani percorrono è lastricata da un punk noiseggiante sparato a volumi inumani, la profondità dei bassi alteravano il battito cardiaco ed il fluire del sangue nelle vene. Tumpa Tumpa, chitarra suonata al fulmicotone sono i trademark delle prime tracce; dal quarto brano fanno capolino le dissonanze care ai Killing Joke e da qui all’industrial senza compromessi, suonato sempre alla velocità della luce, è veramente un attimo. In altri momenti sembravano gli Swans degli esordi, dove le dinamiche industrial erano esasperate dalla pesante lentezza che fa da preludio alle sfuriate delle chitarre taglienti. ‘This Is for the ladies and the darkness’, le parole del cantante che anticipano un ballatone oscuro che ricorda il miglior Nick Cave con un sound di chitarra industrial black degno dei Satyricon. Noise, punk, metal, industrial, stoner, mathcore, centrifugato e sputato fuori a velocità folli secondo i canoni, non del tutto convenzionali, del triumvirato. Debordanti ed ostici.
Commenti