ICED EARTH
A cinque anni dalla loro ultima apparizione in terra italica, tornano gli Iced Earth di John Shaffer. L'attesa è giustificatamente intensa, viste le novità in fatto di line up: è vero che non si è mai registrata molta costanza nella storia della band in termini di componenti, ma è altrettanto vero che, se da un lato "Ripper" Owens è un singer dalle provate capacità tecniche, dall'altro eredita il difficile scettro di un vero mostro, quel Barlow che contribuì in maniera non indifferente al successo della band. Sembra quasi parte del destino di Tim scontrarsi con predecessori dall'immagine imponente, come già fu ai tempi della sua presenza nei Judas Priest; a suo merito va sottolineato come lui non si sia mai sottratto al confronto, per difficile che fosse. L'Alcatraz, sede del concerto, è discreatamente gremito (e dire che quando ho iniziato ad ascoltare gli Iced Earth i più nemmeno sapevano chi fossero), e devo purtroppo ammettere che mi sono perso i gruppi di apertura. Mi dicono però dalla regia che il mondo del lavoro funziona così, quindi non posso far altro che rimpiangere i miei trascorsi da studente e raccogliere i pareri del pubblico, che pare in larga parte aver gradito in particolare gli Annihilator. Dei Turisas non riesco a scoprire granchè. Iniziano infine gli headliner, e subito si attacca con il disco nuovo: "Overture", "Something Wicked (Pt. 1)", "Invasion", "Motivation Of Man" e "Sethian Massacre" segnano l'inizio di uno show dalle sonorità martellanti. Volumi a palla, Ripper gioca sul palco facendo sfoggio della sua voce (ben migliore, in realtà, della sua presenza scenica, per quanto anch'essa non sia da buttare), mentre il resto della band, a livello scenico, bisogna ammettere che fa ben poco. Presenza scenica a parte, bisogna tributare il giusto plauso ad un gruppo che, in termini di tecnica, sa decisamente il fatto suo; rimane comunque da dimostrare la propria capacità di superare la "prova classici". Nello scorso tour avevamo assistito ad un mastodontico show di tre ore, diviso in tre parti dedicate ciascuna ad una fase della cronologia del gruppo; questa volta abbiamo una conformazione più canonica, priva di una precisa sequenza storica dei brani; ecco dunque "Burning Times", cui segue "Declaration Day" per poi scatenare il putiferio sulle violente note di "Violate" e "Vengeance Is Mine". Un breve ritorno all'ultima release con "A Charge To Keep", poi è il momento del massacro su "Stormrider". "Dracula" perde un po' del suo mordente, ma il risultato è più che accettabile, mentre di meglio mi sarei aspettato da "Waterloo", visto l'effetto complessivo che Ripper è riuscito a conferirle su disco. A questo punto tocca a "The Hunter", per poi tornare a bomba su "Framing Armageddon" con "Ten Thousand Strong" (veramente eccezionale l'impatto di questo pezzo, che in sede live mi ha colpito più che sull'album). Contro ogni aspettativa, a seguire sono due parti della mastodontica trilogia di "Gettysburg (1863)": "Hold At All Costs" ed "High Water Mark". Certo, alcuni tagli sono stati effettuati, ma nel complesso le due parti della suite sono praticamente integre, ed il risultato è clamoroso. Pubblico in visibilio, cori imponenti, suoni che rasentano la perfezione: promossi a pieno titolo, non c'è che dire. Dopo una breve pausa, la chiusura del live act è scandita dal trittico "Melancholy" - "My Own Saviour" - "Iced Earth". Delle tre, la più riuscita è sicuramente l'ultima, vista la maggior vicinanza della voce di Ripper a Gene Adams, primo singer della band, piuttosto che a Barlow. Una riflessione nasce da questa serata: se si considera l'obiettivo calo di ispirazione di Shaffer nel songwriting (gli album recenti sono buoni ma sottotono rispetto ai fasti del passato), il ritorno di Barlow sulla scena musicale non andrebbe forse tenuto da conto per risollevare le sorti degli Iced Earth? Se infatti è vero che Ripper Owens ha dato il massimo, e va detto che il suo massimo è decisamente molto, è pur vero che, rispetto a cinque anni fa, il gruppo è risultato più debole, privo di quella matrice unificante che era la presenza scenica, la capacità di headlining e la voce stessa del terzo cantante della storia degli Iced Earth. Nessuna delusione stasera, assolutamente; ciononostante, resta la chiara percezione che "si poteva fare di meglio". Staremo a vedere; per il momento rimane la soddisfazione di aver assistito ad uno show con tutti i crismi, come ci si aspetta da un professionista (e perfezionista) come John "Iced Earth" Shaffer.
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