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GODS OF METAL 2008 ::: parte 2

Secondo giorno e personalmente quello che aspettavo di più, vuoi perché carico di gruppi della mia infanzia e non. Anche in questo caso riesco ad entrare in tempo per ascoltarmi un pochino dei Brain Dead, italiani, proporre un thrash metal scontatissimo e ascoltatissimo, con un'acustica scarsa e poco coinvolgimento, tanto che ne ho approfittato per fare le mie solite abluzioni nei luoghi più opportuni. Passa il tempo e sento gli Stormlord e la curiosità mi impone di ascoltare con attenzione: non sono mai stato un estimatore di tale gruppo, vuoi perché secondo me un po' troppo sopravvalutato, vuoi perché il genere proposto (epic metal con voce estrema, essenzialmente) non ha mai trovato in me grande fan. Galvanizzati dal buono e recente 'Mare Nostrum', il gruppo italiano si da subito da fare con molta umiltà e partecipazione, per una giornata afosa e ad un orario improbabile con il sole a perpendicolo sulle spalle. C'era a dire la verità tanta gente sotto il palco ad ascoltare le ultime fatiche dei nostri. Non sono un fan del gruppo, quindi non posso sparare titoli a caso, anche se mi pare che gli Stormlord abbiano altamente privilegiato l'ultimo album (scelta saggia visto il pochissimo tempo a disposizione). Tutto sommato una mezz'oretta scarsa di ottimo metal, fosse stato per qualche nuvola in cielo me lo sarei gustato davvero di più. Piccola ma importante prova dei nostri. A quando qualche gruppo locale in una posizione di scaletta più HOT? [Gabriele "Anaconda" Frontini] Between The Buried And Me: band statunitense che potrebbe essere infilata in ogni tipo di festival, da quello metal come il GOM, a quello progressive, a quello squisitamente rock, jazz ed altro ancora grazie all'intruglio sono ben amalgamato che propongono. Alla loro prima esibizione italiana i Between The Buried And Me dimostrano di che pasta sono fatti, e si guadagno il rispetto del pubblico dopo quello della critica che li ha ben accolti su disco. Bravi tecnicamente, il quintetto tiene bene il palco con in evidenza sugli altri Tommy Rogers, frontman che si divide tra voce e tastiera e che incarna alla perfezione tutte le puntate sonore del gruppo. Una vera, positiva sorpresa. [Andrea "Emo" Punzo] The Dillinger Escape Plan. Scatenati, furiosi, acrobati. Come ogni volta, in pratica, in particolare nella vena schizzata di Weimann e Tuttle, i due chitarristi. Gruppo assai in forma che fa della dimensione live lo scenario ideale per esprimersi pienamente. Qualche piccolo problema audio non pregiudica un show dall'alto tasso andrenalico, rabbioso, atletico. Greg Puciato si destreggia alla grande anche se cala con il passare dei brani in fatto tenuta fisica, passando dall'arrampicata sulla struttura del palco ad un semi-immobilismo finale dovuto probabilmente al caldo feroce. Proposti in maggioranza brani dall'ultimo disco, 'Ire Works' che, comunque, godono di un impatto dal vivo invidiabile pur non essendo il meglio che i nostri abbiano mai prodotto. Spettacolo esaltante, tecnica e coinvolgimento stellare. [Andrea "Emo" Punzo] At The Gates: lievemente in anticipo sulla tabella di marcia, gli svedesi salgono sul palco del Gods nel primo pomeriggio, quando la temperatura non gioca certo in favore dei fan, che pur non fanno mancare il loro appoggio alla band. Ovviamente è 'Slaughter Of The Soul' l’album più saccheggiato dal quintetto scandinavo, ed è proprio la title track di questo capolavoro indiscusso ad aprire lo show, per il tripudio degli astanti; a ruota "So Cold", che riesce a scaldare ulteriormente una platea già abbrustolita, alla faccia del titolo refrigerante… Un incipit di tutto rispetto dunque, parzialmente rovinato però da una resa sonora non all'altezza e da un Tomas Lindberg non incisivo come mi aspettavo, nonostante una presenza scenica capace di catturare e coinvolgere. Poco male, ho trovato di che consolarmi con l'esecuzione dell’apprezzata "Terminal Spirit Disease", di "Kingdom Gone" (gli albori della band) e di "Suicide Nation", con quel fantastico assolo finale che da anni sogno di sentire dal vivo. Non bastasse questo, la chiusura è stata affidata a "Blinded By Fear": cosa chiedere di più? [Oscar "Eomer" Amadini] Ed ecco il momento dei Testament, colonna storica del thrash metal statunitense e freschi autori di 'The Formation Of Damnation'. L’occasione di vedere lo storico combo di Frisco con una line-up di questo livello è da cogliere al volo e infatti i presenti che si ammassano sotto il palco sono via via più numerosi. Maestri nella sublime arte del thrash, i nostri ci mettono veramente poco a trasformare il pit in un girone infernale, anche per via di una scaletta che riesce a mettere d'accordo tutti, concedendo il giusto spazio ai nuovi brani ("Henchmen Ride" e "More Then Meets The Eye"), senza trascurare un passato fatto di pietre miliari. L'opener è, udite udite, "Over The Wall", uno dei migliori pezzi di sempre composti da Chuck Billy e soci, il biglietto da visita ideale per mostrare fin dalle prime battute l’affiatamento delle due asce Peterson e Skolnick, che ricevono per questo una giusta ovazione, anche se tra i due chitarristi gli applausi più calorosi sembrano indirizzati al figliol prodigo ed ex-Savatage Alex. Senza un attimo di tregua i Testament sfoggiano le vesti migliori, con un Chuck in forma esemplare, mettendo in scena una performance a dir poco esaltante improntata su brani che hanno contribuito a definire il genere thrash: "The New Order", "D.N.R.", "Apocalyptic City", "Into The Pit", tanto per fare qualche nome. Un meccanismo collaudato e letale, una compattezza che atterrisce e in più una resa sonora convincente: pubblico in estasi. Questi sono i Testament. [Oscar "Eomer" Amadini] Meshuggah. Non ho mai potuto capire la proposta musicale di questi svedesi, ma chi lo ha fatto non riesce più a districarsene. Partenza in sordina per un non noto problema alla strumentazione, ma poi l'armata si ricompatta, parte alla grande vertendo sull'ultimo album in studio ('Obzen' che come al solito ho trovato indigesto, ma mi riprometto di ascoltarlo almeno altre dieci volte.) Vedere i Meshuggah con il sole in faccia non è una bella cosa, se si pensa che fra una canzone e l'altra hanno impiegato un sacco di tempo ad abbeverarsi, scherzi a parte, la ritmica, martellante e cibernetica (scemata in parte della sua componente "cyber" dal contesto live) è stata un vero e proprio leit-motiv per le mie orecchie e sebbene sdraiato in collina ho potuto gustarmi quest'ora malata sotto i colpi di "The Mouth Licking What You've Bled", "Rational Gaze" e altri (sebbene mi fossi aspettato una scaletta un po' più diversa, tanti pezzi da me considerati "classici" sono stati scartati...). Devo dire la verità: a questo punto il mio cervello ragionava sul gruppo immediatamente successivo, grande punto di domanda di questa giornata e probabilmente dell'intera tre giorni metallosa. Altri amici si sono divertiti a cercare (invano) di riuscire a calcolare i tempi delle battute delle varie canzoni. Ci si diverte come si può. [Gabriele "Anaconda" Frontini] Carcass: ripresomi dallo shock causato dai Meshuggah, ho giusto una mezzora di tempo per tirare il fiato, poi mi rifiondo nel pit, perché sta per scoccare l’ora più attesa (almeno per me) di questa tre giorni di metallo. Sul palco dell’Arena Parco Nord di Bologna fanno il loro ingresso i Carcass, leggenda inglese del death/grind, ritornati sulle scene a distanza di più di dieci anni dall’ultima apparizione. Di tempo ne è passato, ma nessuno si è dimenticato di loro, tanti sono gli applausi che accolgono l’ingresso on stage di Jeff Walker, Bill Steer, Michael Amott e Daniel Erlandsson, il batterista in forza agli Arch Enemy che ha preso il posto dello sfortunato Ken Owen (sono note le sue gravi vicissitudini ospedaliere). Si comincia forte, fortissimo, con "Impropagation", capace in pochi istanti di azzerare gli anni di buio che ci hanno privato dei Carcass, anche perché i suoni sono decisamente buoni e permettono di apprezzare appieno lo stato di forma di tutta la band e di Walker in particolar modo, dato che il suo growling è sempre quello malsano e viscerale che ricordavamo. E via subito con l’ottima "Buried Dreams", per poi fare un passo indietro e ripescare da 'Necroticism' l’acclamata "Corporal Jigsore Quandary", senza dubbio uno dei brani più attesi, che non ha minimamente tradito le aspettative. L’assalto del combo originario di Liverpool è incessante e votato al massacro totale, anche se la carneficina dei pezzi più datati (vedi "Reek Of Putrefaction"), dove maggiore è il contributo alla seconda voce di Steer, viene in parte addolcita da estratti di minor ferocia, come "Keep On Rotting In The Free World" tratta dal controverso 'Swansong', o "No Love Lost" dall’incedere lento e monolitico. Poco prima del gran finale, il momento più toccante della serata: sul palco sale Ken Owen che saluta i membri della sua band e in italiano il pubblico presente, ricevendo tutto il calore di migliaia di persone che gli tributano un interminabile commosso applauso. Poi l’esecuzione della strabiliante "Heartwork" che chiude nel migliore dei modi una performance impeccabile sotto tutti i punti di vista: grazie Carcass! [Oscar "Eomer" Amadini] Ora tocca agli Slayer. Dopo aver bevuto una birra gelata tutta d'un fiato (con relativi problemi gastro/aerofagici annessi nell'immediato) ed essermi posizionato in un posticino tattico nella collinetta erbosa, arrivano loro. Godendo come un bambino posso ascoltare l'accoppiata iniziale "Darkness Of Christ" e "Disciple" (da 'God Hates Us All'): certo è che su disco sono maestri, ma live fanno paura, veramente! Sound perfetto, coinvolgimento da parte del gruppo ottimale (aiutato dagli effetti di luci a dir poco azzeccatissimi) e da una scaletta grassa che ha riproposto più o meno tutti i classici del gruppo come "Chemical Warfare", "War Ensamble", "Postmortem", "Captor Of Sin", "Hell Awaits" (con il suo intro spettacolare) e tante altre. Questo è suonare, questo è il metal cattivo che mi piace. Non ci sono cali di tensione, si cerac di pescare qua e là da ogni album, vecchio e nuovo di sorta. Scaletta per una volta ad hoc. Tom Araya ha urlato per tutta la sera, l'accoppiata King/Hannemann ha fatto il suo porco comodo (in senso buono) e Dave Lombardo beh, sicuramente avrà fatto vergognare un po' Paul Bostaph che durante l'ora sul palco dei Testament ha preso delle stecche imbarazzanti... Il gruppo è stato veramente capace di fare arricciare i peli nel naso, come si suol dire, e quello degli Slayer è stato l'unica esibizione nella quale la mia anima esigente non è riuscita a trovare pecche alcune. Tutto si è mescolato nel concerto degli Slayer: ricordi d'infanzia, poghi sfrenati stravaccati per terra, gente che si ruzzolava di sotto, urli disumani. Veramente eccezionale. E che dire del trittico in chiusura affidato a "Raining Blood", "Mandatory Suicide" e "Angel Of Death"? Niente, basta questo più di mille parole. Eccelsi, letali e spettacolari, dieci palmi sopra a tutti gli altri, scuola e dopo-scuola per tutti. Che bello! [Gabriele "Anaconda" Frontini]

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