GODS OF METAL 2007<br>Part II
[INTRO] Seconda parte del Gods Of Metal, e successo confermato. Anzi,duplicato. La fiumana di gente vista all'Idroscalo era preventivabile vista la presenza di Ozzy e Korn, ma non mi sarei mai aspettato tutte quelle presenze. Segno che vecchio e nuovo possono andare d'accordo, generazioni differenti sia sul palco, sia tra i convenuti. Ma l'effetto è stato identico: follie, convulsioni, emozioni, fisicità, elettricità. Un evento da ricordare, non c'è che dire. Questo anche grazie alle ottime prestazioni cui abbiamo potuto assistere durante l'intera giornata dalla prima all'ultima band prima degli ultimi due mostri citati sopra. Ovviamente, non tutto è andato per il meglio. L'evento è stato entusiasmante, un po' meno l'organizzazione che ci priva della possibilità di fotografarlo a causa di una decisione presa all'ultimo momento dal management: tagliare i foto pass. Tagliarli soprattutto alle webzine. Decisione in parte anche condivisibile vista l'orda di gente presente nel pit foto durante la due giorni d'inizio giugno. Niente da dire. Solo che avremmo gradito maggiore chiarezza nella spiegazione fornitaci visto che non tutto quadra, e che le versioni a nostra conoscenza cozzano tra loro. Ma va bene così. Le foto le abbiamo fatte lo stesso assistendo a quasi tutti i concerti nelle primissime file nel tentativo di offrirvi comunque un reale racconto di quanto andrete a leggere. Speriamo di essere riusciti nell'intento. A tal proposito, un grazie particolare va a Michele di Radio LUpo Solitario("Metal Thrashing Mad" il programma), che ci ha gentilmente permesso l'utilizzo delle foto(bellissime) dei Black Label Society e Megadeth. Bene, anche questa edizione del GOM è andata. Tirando le somme, possiamo definirlo soddisfacente. Le band che abbiamo visto suonare hanno fatto la loro parte, e la location merita la conferma(anche se i pocchissimi stand presenti non hanno offerto un diversivo valido). Non rimane che aspettare la prossima edizione nella speranza di poter assistere ad un festival ancora migliore. Buona lettura. [OUTSIDER] Non annunciati nella presentazione di questa seconda parte del GOM, gli Outsider salgono a sorpresa sul palco a ridosso dell'apertura dei cancelli. In pochi già posizionati davanti alle transenne si godono quel pugno di minuti concessi alla band veneta, fautrice di un thrash in bilico tra vecchio e nuovo stile(lì dove entra in gioco il "core" di rito). I ragazzi tengono bene il palco, e Fabio si mostra un ottimo frontman capace di catalizzare tutta l'energia della proposta, e di riversarla sul pubblico che man mano comincia a farsi sempre più numeroso, e che risponde alla grande già di buon mattino. Inatteso quanto ottimo inzio. [Emo] [SLOWMOTION APOCALYPSE] Altra band nostrana. Gli Slomotion Apocalypse hanno dalla loro già un nutrito seguito di ascoltatori che manifesta tutta la sua esaltazione ad ogni brano eseguito. Sound imponente e brani tiratissimi fanno la voce grossa in questa esibizione che vede un gruppo in forma, già con una personalità spiccata e che non teme affatto l'impatto di un grande evento. Il pubbulico si fa molto più numeroso, e proporzionalmente ancora più partecipe. Sfiorando il visibilio quando la band a conclusione del suo spazio chiama sul palco GL Perotti(Extrema) per la cover di "Be Quick Or Be Dead" dei Maiden. Il risultato coinvolge, scatena i primi sostanziosi headbanging, il brano acquista potenza e viaggia su binari "estremi" con due screamer che si danno il cambio spadroneggiando su una traccia non del tutto simile al loro stile abituale. L'adrenalina dell'arena, intanto, comincia a salire. [Emo] [DEATHSTARS] Prima ancora che salisse sul palco la band svedese, mi ero promesso di contare quante bottigliate avrebbe ricevuto. In fin dei conti solo due. Solo due coglioni e, soprattutto, con una mira del cazzo. Ma davvero abbiamo fatto passi così grossi da quando si esibirono sempre durante una edizione del GOM anni fa gli Space Age Playboys del grandissimo Kory Clarke(Warrior Soul)? Fatto sta che i Deathstar, al di là dei gusti personali, il loro show l'hanno fatto eccome. Il loro goth-rock a tinte industrial wave, con una leggera punta di glam, ha davvero ben figurato anche davanti ad una platea affamata di riff e tranvate sulle gengive viste le band di questa giornata. Per carità, nulla di estremamente coinvolgente dal punto di vista dell'impatto sonoro, ma uno spettacolo che ha poggiato molto su quello visivo con Whiplasher autentico istrione, provocatore, front man dalle movenze ambigue tipiche della decade ottantiana. Un diversivo molto apprezzato in attesa di riprendere la lunga estenuante cavalcata che ci condurrà ai piedi del madman. [Emo] [SADIST] Ancora altra band italiana. I Sadist si confermano anche portatori sani di spettatori visto il grande seguito di cui godono dietro alle transenne. Il caldo comincia a farsi importante, e la proposta di Trevor & C. non fa altro che aumentarne la portata: brani eseguiti in modo ineccepibile, impressionanti davvero dal lato esecutivo. Come lo è stato in particolare Tommy il quale si divide tra chitarra e tastiera. Nel senso che le suona contemporaneamente: una mano sulla tastiera della chitarra, l'altra, ehm, sulla tastiera. Da par suo Trevor è un monolite di qualche quintale e più che girovaga avanti ed indietro sul palco, ma la sua "agilità" è indirettamente proporzionale al suo screaming che si conferma tra i migliori in circolazione. Il live set si contorna essenzialmente dei brani migliori della loro discografia, compresi estratti dall'ultimo disco omonimo. Fanno notizia più di altri per l'accoiglienza calorosa dell'audience "Sometimes They Come Back”, e "Christmas Beat", quest'ultimo annunciato in pompa magna da Trevor con un potentissimo "ECCO PERCHE' ODIO BABBO NAAATAALEEEEEEE!!". Uno show riuscito, molto, per uno dei più rilevanti gruppi della scena della penisola, ormai pronto a recuperare la strada perduta grazie anche ad una vena compositiva del tutto ritrovata. [Emo] [TYPE O NEGATIVE] Pete Steele sale sul palco visibilmente brillo. Insomma, niente di nuovo, c'era da aspettarselo. Talmente brillo che la bottiglia di vino che si porta dietro la tracanna una volta sola ad inizio concerto, poi si dà totalmente all'acqua. Segno che o il concerto vuole portarlo a termine, oppure che nel backstage ha dato già il meglio di sè. Immersi in una scenografia nero-verde, lì dove anche le prolunghe elettriche hanno il cavo verde, i TON danno dimostrazione di saperci fare anche dal vivo. Apparentemente svogliati, i newyorkesi, invece, ci danno dentro sfornando una scaletta azzeccata e convincente nonostante la scelta di brani di lunga durata. Pete spolvera la sua grandissima ugola, ti vibra il petto soprattutto quando va sul baritonale. Ogni tanto va a sedersi ai piedi della batteria come a volersi riprendere, a volte spara qualche nota a caso, ma è Pete Steele, cazzo! Come anche lo sbattimento di Kenny il quale si divide tra chitarra solista o voce con grande partecipazione. Dall'ultimo disco in studio, "Dead Again", vengono proposte "The Profits Of Doom" e "These Three Things", tra i classici pescano "We Hate Everyone", "Christian Woman" e "Black N° 1"(da segnalarela presenza di Andrea del Lacuna Coil ai cori). Certo, si poteva fare di meglio vista l'assenza di altri brani enormi, ma i TON hanno in dono un carisma prepotente che ti afferra, ti cattura e ti porta via lì sul palco. Qualunque brano suonino va bene uguale perchè...perchè...cazzo, Pete Steele è Pete Steele. Non c'è altra ragione. [Emo] [BLACK LABEL SOCIETY] Sotto un sole impietoso si entra nel regno di Zakk Wylde: I Black Label Society salgono sul palco ed iniziano il loro granitico show. Saranno, come praticamente sempre, ubriachi marci? Stavolta non sono in grado di dirlo, dal momento che la postazione di cui sono riuscito ad impadronirmi offre una buona visuale del palco, ma non sufficiente a definire lo stato alcolico della band. Gruppo attesissimo, i BLS hanno fatto discutere non poco: da un lato, gli accesi sostenitori soddisfatti di una prestazione comunque degna di nota, che ha concentrato la selezione dei brani quasi esclusivamente sulla triade “1919 Eternal” – “Mafia” – “Shot To Hell”; dall’altro, chi ha sofferto in particolar modo il mixaggio in crescita, che ha sacrificato i primi pezzi raggiungendo progressivamente dei livelli adeguati ma non sconvolgenti, ed alcune finezze di Zakk e soci che sicuramente potevano risultare più azzeccate (in primis, l’attacco cedevole di “Bleed For Me”). Prescindendo dallo schieramento favorito, comunque, Zakk ha mostrato come al solito uno stile impeccabile: pezzi potenti e diretti, tra i quali ammetto di aver particolarmente gradito “Suicide Messiah”… e non sono certo stato l’unico, a giudicare dal putiferio tutt’intorno. Inutile dire che “Fire It Up” ha suscitato entusiasmi, cori e pogo; “Concrete Jungle” e “Black Mass Rebels” hanno confermato l’apprezzamento del pubblico per l’ultima fatica discografica dei cinque. La performance? Tra cori, assoli e volumi, i Black Label Society hanno dato spettacolo ad altissimi livelli. La partecipazione? Beh, come sopra: dannatamente elevata. Il tempo? Che ci si può fare, in un festival non tutti possono fare da headliner…anche se Zakk… [Nyarlatothep] [MEGADETH] Reverendo Mustaine, ci ascolti. Abbiamo peccato, abbiamo dubitato della Sua mettallara essenza. Ma Lei, nella sua immensa bontà, è ora pronto a sommergerci sotto un’onda di piena di puro Metal, come solo i Megadeth sanno fare. Dave è tornato. Non so più come dirlo. Dave è tornato. Non una parola: sale sul palco, suona, tritura i timpani e le ossa, e se ne va. In tutto il concerto, ha detto “Penso che conosciate tutti il testo di questa canzone” (“A Tout Le Monde”), “Siete stati grandi, noi siamo stati i Megadeth” (il suo classico saluto di fine show), e “Il mio nome è Dave Mustaine” (durante la presentazione della band. Fine. E così deve essere, perché finchè Mastro Ciliegia Mustaine ha ignorato le formalità, senza mai parlare ma suonando e basta, i Megadeth sono stati una certezza, una band che dal vivo non sbagliava un colpo. Poi ha iniziato a chiacchierare col pubblico, fare battutine, eccetera… ma in parallelo le prestazioni erano scese. Ora torna, in tutto lo splendore di brani vecchi e nuovi, da “Sleepwalker” (opener del nuovo disco) a “Washington Is Next” (sempre da “United Abominations”), da “Skin O’ My Teeth” (stranamente tagliata dopo l’assolo) a “Peace Sells”. La furia di “Take No Prisoners” scatena l’ennesimo boato del pubblico, fino al climax di “Holy Wars… The Punishment Due” in mezzo alla quale viene inserita, in un folle medley di potenza e distorsione, “Mechanix”. I suoni rasentano la perfezione, la band è una macchina da concerti che sforna un brano dopo l’altro senza mai una nota fuori posto, senza una sbavatura. Solo precisione, Megadeth, e l’onda del pubblico, massa in movimento osannante al Reverendo Mustaine. Dave è tornato, signori. Dave è tornato. [Nyarlatothep] [KORN] Che concerto! In otto sul palco in quello che figura più come un collettivo musicale che una band a tutto tondo, ma concerto memorabile. Davies in forma(dopo ogni brano va ad ossigenarsi dal suo gorilla personale che gli fornisce tubo e mascherina), trascina come suo solito un himalayano pubblico presente(quasi) esclusivamente per loro. Un pubblico che si farà in quattro e suoi multipli per tutta la durate del live set, si farà letteralmente a pezzi durante alcuni classici come "Freak On A Leash", "Shoots And Ladders", "Falling Away From Me" e "Blind", posta nel finale, quando Davies invita tutti a stare giù sulle ginocchia pronti a saltare non appena il brano prende piede dopo la sua introduzione. Una scena quasi apocalittica per chi era presente lì davanti come il sottoscritto. E dopo una vita di concerti dovevano arrivare i Korn per farmi vedere finalmente anche moltissime ragazze scatenarsi a suon di pogo e saltelli. Con Jordison(Slipknot) dietro le pelli che contribuisce a dare pesantezza e dinamicità ai brani, i Korn hanno lasciato davvero il segno pur non essendo in formazione originale. E quello che pare sia il nuovo corso creativo, "Evolution", il brano inedito presente in scaletta, pur non aggiungendo nulla a quanto già ascoltato finora, ha la sua buona resa dal vivo. Forse Davies e soci(o quelle che ne rimane), non sanno ancora bene cosa faranno e cosa saranno nell'immediato futuro, certo sono ben consapevoli di un presente che allo stato attuale, almeno dal vivo, ha ancora molto da dire. Dopo quello di Ozzy il concerto più clamoroso della giornata. [Emo] [OZZY OSBOURNE] Cosa aspettarsi dall’esibizione di Ozzy, è un interrogativo che ha assillato un po’ tutti per tutta la giornata. Ozzy è una leggenda vivente, un uomo che ha attraversato come una cometa le ere di ciò che chiamiamo Heavy Metal, che ha contribuito a fondarlo e sembra non volerne cessare l’osservazione e la partecipazione. E’ un uomo con attorno un mito, come un alone che lo pervade, con la sua incredibile tendenza a far parlare di sé nei modi più assurdi, che abbia morso un pipistrello o si sia fatto arrestare urinando su un monumento o si sia rotto qualche vertebra facendo il cretino con un quad. Ed il risultato è che siamo qui, “qualche” migliaio di persone a domandarci se canterà, se si muoverà, se scivolerà rompendosi ancora qualcosa. Cinquantanove anni questo dicembre, il “Madman” più famoso del mondo porterà stasera nel suo mondo un idroscalo gremito quanto mai prima d’ora. “O Fortuna” richiama la folla, e ci si avvicina quanto più è possibile. Folla ovunque, compreso sopra ai muretti ed arrampicati sugli alberi. Le danze si aprono con “Bark At The Moon”, e subito il pubblico inizia a delirare. Ozzy si mostra carico, ma la voce la deve ancora scaldare: ci metterà un paio di canzoni, ma poi le stonature andranno gradualmente diminuendo. Certo, magari “Mr Crowley” poteva cantarla meglio… ma in fondo è una questione di gusto personale: con la scaletta scelta, come si fa a decidere cosa sacrificare e cosa no? Fatto sta che, tra il finale di “Not Going Away” (per la serie: ehi, ho fatto un album nuovo, sapete?) e “War Pigs” si può considerare Ozzy in piena forma… con la controindicazione che, ora che c’è la voce, manca un po’ il fiato: rincorre le strofe, facendo cantare il pubblico il più possibile perché non ci riesce proprio, ed un Ozzy collassato in ipossia sul palco ce lo risparmiamo volentieri. Ma è sempre Ozzy: una personalità tale che, dovesse anche stare zitto a salutare con la mano e far cantare solo il pubblico, glie lo si perdonerebbe. Fa parte della sua magia: è su di età, si sa, e gli si concedono sbavature ed imprecisioni. Alice Cooper è più vecchio di un anno e canta meglio, verrebbe da obiettare, ma il mito di Ozzy è completamente diverso, e parla di autodistruzione da quasi quarant’anni: nessuno si aspetta una prestazione che non è in grado di fare, e questo gli facilita non poco le cose in termini di esaltazione delle masse. Della fase Black Sabbath viene eseguita in chiusura “Paranoid”, il resto è tutto “Madman”: “No More Tears”, “I Don’t Want To Change The World”, “Road To Nowhere”, la selva di accendini su “Mama I’m Coming Home” ed altro ancora. La nota negativa è stata per molti l’eccessivo assolo di Zakk: obiettivamente, dieci minuti abbondanti di Zakk da solo sono un po’ pesantucci; è pur vero che Ozzy era probabilmente sul retro del palco attaccato all’ossigeno, o giù di lì… fatto sta che al rientro, il signor Osbourne ha fatto tremare l’idroscalo! Gran show, signori. Compassione per chi se l’è perso, perché è stato grandioso e perché non so se e quando vi ricapiterà l’occasione. Abbiamo visto una leggenda, ed abbiamo visto il suo popolo esaltarla: una sensazione coinvolgente, una crescente esaltazione per quel “coso” saltellante sul palco laggiù in fondo. Ozzy regna, signori. [Nyarlatothep]
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