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GODFLESH

Non un festival, non una kermesse, non un semplice concerto, ma un happening, un appuntamento imperdibile (più unico che raro nel suo genere) per tutti gli amanti dell’Industrial Metal (non so è stato un bene o un male essere intervenuti in poco più di 200 presenti; se da un lato ha penalizzato gli organizzatori, dall’altro ha permesso di avere un contatto più diretto con le band sul palco) che in un sol colpo hanno potuto ‘godere’ dei padri della siderurgia pesante: Godflesh, dei figli illegittimi (in quanto italiani) operai della siderurgia locale: Disumana Res (assenti dalle scene per oltre 15 anni, ma riformatisi in occasione dell’uscita postuma del loro cd omonimo registrato nel 1998 e pubblicato nel 2014), e della siderurgia tecnologicamente avanzata: Deflore. I Syk sono stati volontariamente omessi dalla premessa in quanto esulano dall’industrial metal poichè la loro proposta si avvicina al djent metal pur essendo poco classificabile. La definizione del running order non ha tenuto conto della militanza di ogni singola band che se fosse stata rispettata avrebbe visto in apertura i Syk, per la band successiva si potrebbe aprire un dibattito poiché come anzianità di servizio i Disumana Res si son formati nel 1995 ma hanno all’attivo solo un disco ufficiale (2014) mentre i Deflore, nati nel 1998, hanno sette uscite ufficiali.

Incomprensibilmente ad aprire sono stati chiamati i Disumana Res che a causa dei ritardati soundcheck precedenti, hanno fatto un linecheck poco prima dell’inizio del live e questo ha comportato problemi di setting dei suoni durante l’esecuzione del primo brano "Return To Nothingness", fortunatamente risolti nel prosieguo del set. Molti degli intervenuti non conoscendo i trascorsi della band e non avendo idea di cosa proponessero sono rimasti immediatamente colpiti dal sound di chitarra rumoroso, dal basso nervoso ed ipnotico direttamente discendente da ‘Streetcleaner’, dalla voce grintosa e dalla drum machine, tanto che la dimostrazione di tale sorpresa è stata la silenziosa osservanza con cui il pubblico ha seguito il concerto. La prima volta che li abbiamo visti fu nel 1995, seguirono tante altre performance perlopiù nei Centri Sociali romani, ma la data che ci è rimasta pìù impressa fu quella del 1997 con i Crunch di spalla agli Headcleaner (noise mongers inglesi) sia per la qualità del sound che per l’acustica del locale ma anche perché coverizzarono “Like Rats” da ‘Streetcleaner’; le loro esibizioni sono sempre state di stampo hardcore: pochi fronzoli e molta sostanza: straight to the core. Bentornati, ci siete mancati.

Setlist:
Return To Nothingness
Worms
Underkiller
Still
War On Bodies

 

A seguire i Deflore che da una struttura di base figlia degli albionici (molto evidente nell’esordio 'Human Indu(b)strial'), hanno contaminato il proprio sound con dosi massicce di elettronica e campionamenti assimilabili a band quali Autechre e Nine Inch Nails più sperimentali; il loro sound è stato più organico di quello dei Disumana Res proprio in virtù delle macchine in aggiunta agli strumenti tradizionali che creavano quel maelstrom controllato. L’esibizione è stata impeccabile come nelle altre volte che li abbiamo visti, meno martellanti degli esordi, ora tendono ad avvolgere l’ascoltatore con l’effetto sorpresa dato dai crescendo che trasportano in turbinii vorticosi come in "Champion Of mediocrity", o da imminenti spasmi cibernetici a mò di minaccia. Per chi non li avesse mai visti, consigliamo di colmare la lacuna, e se i due pezzi inediti presentati durante il set sono rappresentativi del nuovo lavoro di prossima pubblicazione, allora l’attesa sarà ancora più spasmodica.

Setlist:
Parete hp
Ferroconcrete
Traccia inedita 1
Traccia inedita 2
Champion Of Medicority

 

A seguire gli imbucati Syk, imbucati in quanto prescindono dal tema di fondo che era l’Industrial Metal; il loro sound era poco classificabile, come detto sopra, di base una chitarra djent metal cioè avvezza a strutture sincopate, spezzate, non armoniche, supportata da una batteria che viaggiava sulle stesse coordinate dettate dai controtempi (un po' come suonava il batterista dei Confessor in "Condemned", per rendere l’idea, ma con minor tecnica), tanto che molto spesso i due strumenti sembravano dissociarsi o perdere completamente il tempo; completava il triumvirato l’ugola straziata e straziante della vocalist, completamente avulsa dal sound dei compagni di ventura, atta ad armeggiare anche con le macchine per la creazione di rumorismi vari. Dopo l’iniziale effetto sorpresa (straniante era l’immagine della chitarra priva di paletta e tagliata in una parte del corpo, sembrava fosse stata letteralmente mutilata), per certi versi sconcertante, tanto da lasciare il pubblico perplesso, freddo e poco reattivo; nel prosieguo i milanesi sono riusciti a coinvolgere parte di esso che ha apprezzato la pietanza anche se piuttosto indigesta.

All’una di notte si materializzano sul palco le due losche figure che attendevamo fin dall’ingresso, imperiosa è la stazza di Justin Broadrick che munito di maglia dei Ramleh (sperimentatori power noise della prima ora) dopo aver ‘smucinato’ con i ferri del mestiere, ci ha sparato in faccia bordate pneumatiche degne del miglior reparto siderurgico del tristemente famoso stabilimento ILVA di Taranto. Il concerto è iniziato seguendo lo stesso ordine delle prime 4 tracce dell’ultimo lavoro “A World Lit Only By Fire” ed è venuta fuori tutta violenza repressa in ognuno di noi, scaricata attraverso vorticosi headbanging e slegate danze tribali. "New Dark Ages", "Deadend", "Shut Me Down", "Life Giver, Life Taker", un battaglione di carri armati che avanzava a passo cadenzato ed inarrestabile; una leggera flessione nella curva dell’attenzione l’abbiamo avuta durante "Carrion" e "Towers Of Emptiness", due brani che in chiave live sono sembrati talmente simili da non trovare differenza, per quell’incedere di drum machine praticamente uguale. Il buon Giustino da Birmingham resosi conto della scivolata ha pensato bene di farsi perdonare con un trittico da infarto, per chi come noi è un fan della prima ora: "Christbait Rising", "Streetcleaner" e "Spite" da ‘Pure’ (il più ballabile per le continue incursioni nella techno sincopata), come non potevano mancare le monolitiche dissonanze di "Crush My Soul" dal loro album più duro, ossessivo ed intransigente: ‘Selfless’. Dulcis in fundo l’immane ed immancabile "Like Rats" che, come riporta il titolo, ci ha lobotomizzati come topi pronti a obbedire a qualsiasi martellamento pneumatico che ne sarebbe seguito. Un oceano di dissonanze, un mare di reiterata meccanicità, un basso carico di groove hanno avuto come cornice le immancabili immagini delle crocifissioni, più sobrie rispetto a quelle apocalittiche di 'Streetcleaner' pari a icone classico/cristiane, alternate a stilizzate immagini geometriche. Sfiniti ma contenti siamo tornati ai nostri loculi industrializzati.

Poiché questa è stata la quarta volta che abbiamo avuto il piacere di vederli dal vivo in automatico è scattato il paragone tra i vari concerti ai quali abbiamo assistito:

1995 – Roma, non fù un grande show a causa di un pessimo soundcheck che comportò suoni ipersaturi perennemente in overdrive, caldo torrido e scaletta non delle migliori causa riproposizione quasi per intero di “Selfless” disco ossessivamente ripetitivo;
1996 – Jesolo: ricordiamo che il concerto si tenne nel tardo pomeriggio sulla spiaggia, la mancanza delle immagini retrostanti e la luce del sole ne fecero perdere in atmosfera e brutalità;
2012 – Palestrina, incredibile ma vero, show gratuito grazie agli organizzatori di “Nel Nome Del Rock”, festival ormai defunto, come tutte le cose belle in Italia; esibizione paragonabile ad un pranzo servito al contrario (come iniziare dal dolce e finire col primo piatto) poiché i primi tre pezzi dai quali fummo letteralmente violentati furono "Like Rats", "Christbait Rising", e "Streetcleaner", di conseguenza tutto ciò che seguì fu qualitativamente inferiore anche se stiamo parlando di pezzoni che hanno fatto la storia del genere. Ci colpì l’attitudine di Broadrick, che montava e smontava tutti gli attrezzi del mestiere senza l’aiuto di nessun roadie. Imprescindibili martellatori dell’underground. Hail.
 
Setlist:
01. New Dark Ages
02. Deadend
03. Shut Me Down
04. Life Give Life Taker
05. Carrion
06. Tower Of Emptiness
07. Christbait Rising
08. Streetcleaner
09. Spite
10. Crush My Soul
Encore:
11. Like Rats

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Commenti

  • stefano ferrian

    Segnalo solo un grossolano errore...il progetto SYK era il supporto ufficiale alle date italiane dei GODFLESH e l'unico opener accettato dagli stessi...Quindi imbucati proprio no...del resto mi importa poco. grazie

  • igor fanelli

    Gentile Stefano ho volutamente specificato che "imbucati" non significa che non avevate titolo o non eravate la support band ufficiale, ma rispetto al tema di fondo della serata che era l'Industrial metal. Cordialità Igor fanelli

  • Stefano ferrian

    Infatti...è triste vedere che ormai in Italia, e questo lo dico per esperienza, sia diventato necessario categorizzare tutto. Questo non è di certo un limite delle band in gioco ma troppo spesso di chi ci spende sopra parole, imprecise, e di chi organizza. Sintomo di un declino culturale che ormai è parte anche delle nicchie. Tra l'altro non trovo un senso nell'inserire in una recensione un commento personale su una chitarra...anche perchè le chitarre senza paletta le hanno inventate almeno treant'anni fa e non capisco che interesse puó avere per un lettore una descrizione del genere. Per il resto SYK sarà anche un progetto nato da un anno ma che contiene musicisti che non si sono mai fermati dal 98 a questa parte. Cordiali saluti...

  • igor fanelli

    Il categorizzare non è un sintomo italiano ma internazionale, qualsiasi rivista/webzine/magazine utilizza aggettivi o sostantivi per raggruppare o definire band che hanno un sound con degli elementi in comune, altrimenti non spiegabile con paroloni astrusi che non portano da nessuna parte; generalmente chi legge vuole avere degli elementi chiarificatori che descrivano il genere di musica che una band suona. Per il resto il diritto di critica prescinde da compartimenti stagni (cioè dover descrivere obbligatoriamente questo o quello) ma sta alla sensibilità (più o meno marcata) di chi assiste, che può cogliere delle peculiarità piuttosto che altre (nel mio caso il commento relativo alla chitarra, che in oltre 30 anni di concerti a cui ho assistito, mi è capitato di vedere pochissime volte, quindi degna di menzione). Concludo dicendo che quando la critica non è offensiva ha sempre diritto di esserci (premetto che il mio report non è una verità inconfutabile o esaustiva), e mi sembra di non aver offeso nessuno, se così non fosse: chiedo venia. Saluti. Igor fanelli

  • Marco Mentasti

    Io all'Init c'ero e onestamente i Syk non c'entravano nulla. DR e Deflore sì, loro no. Perché prendersela? Perché avere il solito atteggiamento italiano infantile per cui se un giornalista non incensa allora ci si incazza? Insomma, per essere in giro dal 98 l'approccio sembra un pelo immaturo. Forse diventare un pelo più professionali non guasterebbe. PS: ho saputo da amici che il loro batterista ha fatto il tour manager del tour, "imbucati" mi sembra quindi un legittimo sospetto. No?

  • Stefano Ferrian

    La critica ha diritto di esserci quando va dritta al punto in maniera pulita e senza giri di parole. Soprattutto in maniera asettica e senza opinioni o commenti personali. Oltre a questo se poi è rimpinzata con metafore o frasi figurate, cosa ormai frequente, la recensione diventa nulla. Fare i recensori è una cosa difficile e troppo spesso si vedono recensioni totalmente per aria e incomprensibili dove più che una recensione sembra un romanzo andato a male. In ultimo la categorizzazione va fatta con un senso critico supportato da un'esperienza critica fondata sull'ascolto. In generale da quello che leggo in tutta la recensione, non mi riferisco solo alla parte dei SYK, mi sembra che qui di ascolti non ce ne siano a sufficienza. Te lo dico perchè in 17 anni che produco musica ho apprezzato soprattutto recensioni dove magari avevano messo 0 perchè molto dettagliate e mature piuttosto che recensioni da 10 del tutto campate per aria. Che piaccia o no quello che si compone richiede un sacco di lavoro...quindi dal mio punto di vista chi recensisce dovrebbe altrettanto essere molto preparato prima di fare andare le mani su una tastiera. Comunque grazie e buon lavoro.

  • Andrea

    Come potrebbe mai esserci una critica senza un commento, o un'opinione personale? La critica E' un'opinione personale. Secondo il tuo assunto allora il buon Igor avrebbe dovuto scrivere che i SYk sono un trio. Uno suona la batteria, un altro la chitarra, ed un'altra che canta e suona le tastiere. Stop, fine del report.

  • Mark

    Certo che un po' più di professionalità da parte dei Syk non guasterebbe. Proprio perché suonano da 17 anni, così dicono, dovrebbero essere in grado di gestire le recensioni senza cadere in scenate infantili. Che poi alla fine è il problema maggiore dei musicisti italiani.

  • Stefano ferrian

    La critica la possono fare tutti e quindi perchè non i musicisti? In secondo luogo il fatto che uno faccia il driver di un gruppo non significa nulla anche perchè le date erano state organizzate prima che Federico venisse assunto come driver, quindi anche questa cosa é inesatta. Al massimo si potrebbe dire che si è imbucato a fare il driver grazie alle date. Per il resto fate voi...personalmente diró la mia ogni volta che ne sentiró la necessità esattamente come chi critica per passione...

  • Marco Mentasti

    No no ma fai pure. Ti fai le recensioni del tuo concerto da solo. Se c'è qualcosa scritto da qualcun altro che non va bene lo correggi. Così quadra il cerchio. Mi sa che stai inaugurando una nuova tradizione: il musicista che suona, e si fa anche la recensione. Così è sicuro che sia positiva. Buona fortuna!

  • sara

    A me dei generi non importa nulla, ascolto di tutto e mi vedo una marea di concerti. Ma per pietà i Syk... una poltiglia informe e fastidiosa. E comunque sì, la voce che fossero imbucati per amicizie interne al booking girava eccome. Anche perchè senò non mi spiego che cosa ci facessero li. Ma basta vedere i commenti arroganti di ferrian per trovare la quadra...evidentemente non sono insopportabili solo sul palco.

  • Eddie

    Credo che sia chiaro che con il termine "imbucati" il buon Igor faccia riferimento al genere suonato dai Syk e al tema generale della serata che era quello dell'Industrial Metal. Non c'è nè offesa nè colpa in quello che ha scritto: è lampante. La polemica mi sembra alquanto sterile se non inutile.

  • Streetcleaner

    All'Init c'ero, bella serata. Comunque ha ragione il giornalista. I Syk non c'entravano nulla con l'intera serata. Ed è vero, tra il pubblico si mormorava che fossero lì soltanto perchè uno di loro lavora con l'agenzia di booking. In effetti il sospetto è legittimo, Syk, o la band precedente di Ferrian, non hanno nulla a che fare con Godflesh, a che pro farli aprire? Il tutto suonava molto slegato, avulso dalle proposte della serata. È un dato di fatto, non vuole essere una critica negativa. Sarà per la lontananza dalle altre proposte, sarà per la forma musicale in ogni caso a me non sono piaciuti per niente. Mille idee ma male esposte e anche pretenziose a tratti. Tra l'altro dopo le sparate sopra di Ferrian mi sembra che siano anche immaturi.

  • Francesco Marallo

    La regola numero UNO per un musicista è l'umiltà. Se manca è meglio dedicarsi ad altro.

  • Matte

    Si. Sarebbe meglio.

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