FRONTIERS ROCK FESTIVAL IV - DAY II
Tentare di spiegare a parole quello che in sole quattro edizioni è divenuto il Frontiers Rock Festival, sinceramente, è cosa particolarmente complicata (ed in parte quasi insensata). Ho sentito assegnare molte definizioni all'evento principe di casa Frontiers, ma ce n'è una in particolare che ho voluto fare mia avendola condivisa con amici, artisti e addetti ai lavori del settore: il Frontiers Rock Festival rappresenta in qualche maniera il "1 Maggio" dei fan di tali sonorità musicali, una sorta di festa nazionale divenuta appuntamento atteso e bramato già ad inizio anno sia dai follower nostrani, sia dai fan provenienti dalle lande oltre confine. E questo sia grazie al lavoro del team di casa Frontiers, capace di migliorarsi di anno in anno per quanto concerne la professionalità offerta agli avventori, e sia soprattutto in relazione al lavoro del vero "general manager" Primo Bonali, capace a questo giro di mettere in piedi un tessuto organizzativo da fare veramente invidia a quello di tanti blasonati eventi di estera estrazione.
DAY II - 30 ARPILE
CRUZH
I motori della seconda giornata vengono ben rodati dalla salita sul palco degli svedesi Cruzh, orfani in questa esibizione del singer Tony Andersson, sostituito da un nome tutt'altro che sconosciuto ai fans della scena come quello di Philip Lindstrand. Nessun picco particolare in uno show onesto e piacevole, buono per offrire a tutti i presenti un valido antipasto a quella che si rivelerà una delle prove on-stage più convincenti di tutto il festival come quella dei nostrani Lionville.
LIONVILLE
Dicevamo, poco sopra, dell'oramai notevole contributo alla scena rock melodica da parte degli artisti di italica provenienza, e quanto intravisto da parte dei Lionville in quel di Trezzo non può che confermare quanto sin qui affermato: band affiatata, setlist di ottimo livello intelligentemente improntata sui migliori episodi estratti dai primi tre studio albums, e una prestazione dietro al microfono da parte di Lars Sasfsund assolutamente esemplare, accompagnato in maniera convincente in tale ruolo anche dai vocalizzi del mastermind Stefano Lionetti. un'uscita live di notevole spessore, non limata nemmeno dall'utilizzo sporadico di basi (in particolar modo ai cori), che mette il miglior sigillo tricolore nella kermesse casalinga del festival nostrano. Tra i migliori della intera due giorni, senza se e senza ma.
ADRENALINE RUSH
Avevo già espresso chiaramente i miei dubbi su questa nuova formazione di Frontiers nel report delle passate edizioni, e mi trovo tristemente a confermare quanto precedentemente detto: una band che gioca unicamente le proprie carte sull'avvenenza della frontwoman Tave Wanning, vista la triste ed evidente pochezza vocale della stessa singer svedese, a cui i propri compagni di band cercano di rimediare con una prestazione sì adrenalinica, ma al contempo un po' "fredda". Esibizione da alti e bassi insomma, non disastrosa, ma comunque rivedibile.
KEE MARCELLO
Continuiamo sulle altalenanti performances di estrazione nordica, perché anche un nome storico come quello di Kee Marcello non è stato esule dallo spietato giudizio della centenaria legge del palco. Il buon Kee infatti, tanto indiscutibile dal punto di vista chitarristico ed ottimamente amalgamato ai propri compagni di band per quanto concerne il discorso strumentale, non riesce purtroppo a proporsi in modo professionale in relazione al discorso canoro, rendendosi quasi imbarazzante nel disimpegnarsi con risultati abbastanza deprecabili in particolare nella riproposizione di alcuni classici a firma Europe, in cui spicca una "The Final Countdown" da censura immediata.
UNRULY CHILD
Quello degli Unruly Child era forse uno dei momenti più attesi dalla maggior parte dei fans accorsi per l'evento, tutti ovviamente curiosi di tastare la forma vocale di sua maestà Marcie Free, in particolare in relazione allo sciorinamento live delle tante perle incastonate nella discografia dell'amata formazione a stelle e strisce. Il risultato è stato assolutamente di livello, con un inizio leggermente in sordina da parte di Marcie necessario a scaldare bene il proprio motore canoro, trasformatosi poi a breve in un caldo grammofono pregno di storia e classe esecutiva. La setlist è da brividi (del resto le gemme dell'omonimo debut album non possono che ammaliare), e tutta la band si pone insieme a Marcie come veicolo di grandi emozioni tradotte in musica, intaccate solo in parte dalla sgradevole presenza in bella mostra di un pc portatile quale back-up vivo delle varie lyrics dei brani. Un solo punto negativo una prova live davvero da fiocco intorno.
L.A. GUNS
Spesso si parla di storia (in molti casi a sproposito) in relazione al blasone d'annata di molti acts della scena rock mondiale, ma mai questa espressione ha avuto così senso (almeno per quanto riguarda il sottoscritto) come in relazione all'ascesa sul palco del Frontiers Rock Festival da parte degli L.A. Guns. Pensate un vero e proprio tornado abbattersi su una casupola costruita con il peggior legname da risparmio, e tentate di immaginarne i proveri e disgraziati resti abbandonati su un terreno oramai spoglio e incolore: questo l'effetto devastante messo in campo dal combo losangelino in quel di Trezzo, i quali non hanno fatto prigionieri vomitando sull'audience dell'evento un fottutissimo concentrato di marcio street rock d'annata. Una vera e propria bomba atomica, capace di stupire non solo sulla lunga fila di rombanti anthems provenienti dalla propria personale discografia, ma anche dalla dirompente riproposizione di alcune classiche chicche del passato, tra cui una "Hells Bells" che definire tagliente è davvero poco. Clamorosi, ma soprattutto assolutamente credibili.
TNT
Così come per gli headliner della prima serata, anche quelli della seconda parte dell'evento hanno finito purtroppo per deludere, almeno in parte, le aspettative dei tanti fans accorsi per un evento di così ghiotta portata. Anche per i TNT, infatti, la noiosa nonchalance da star ha finito infatti per macchiare uno show di alto livello esecutivo, questo anche se, ed è necessario sottolinearlo, Harnell e soci sono comunque riusciti a risultare molto meno antipatici rispetto al livello da "campioni" raggiunto dagli Steelheart il giorno precedente. Buona la scaletta del concerto, iniziato sulle note di alcuni estratti dall'ottimo "My Religion", e completata da altre leccornie presenti qua e là in tutta la loro rinomata discografia. Eccellente il lavoro strumentale di tutta la band (con menzione non propriamente positiva per un sound eccessivamente tagliente e poco "corposo"), mentre mi riservo qualche dubbio sull'approccio vocale di sua "signoria sirena" Tony Harnell, sempre appostato nelle tonalità al limite del suo falsetto da ultrasuoni, e non propriamente versatile invece nelle parti più emozionali e interpretative. Un finale di edizione non propriamente da fuochi artificiali, ma tanta perizia esecutiva e navigata esperienza per una band che può meritevolmente mettere il sigillo di chiusura su una due giorni ancora una volta degna di essere tramandata ai posteri.
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