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ITALIAN GODS OF METAL

Il 2 Marzo era una giornata a dir poco a rischio per l’Italian Gods Of Metal; il bel tempo, incredibile e decisamente inaspettato, e le contemporanee tappe milanesi di bands dall’indiscusso richiamo quali Nightwish e Cure, rischiavano concretamente di far fallire questa lodevole iniziativa. Ed invece… sarà stato un bill decisamente galattico, che comprendeva tra l’altro l’ultima esibizione dal vivo degli storicissimi Death SS (ma qualcuno ci crede? È una storia che ho sentito un milione di volte!), ed un prezzo decisamente popolare, fatto sta che questa edizione del festival ha fatto registrare il pienone. Ma andiamo con la cronaca di giornata: ad aprire, in perfetto orario, tanto da trovare il locale di via Valtellina ancora semivuoto, ecco salire sulle assi del main stage (denominato Hall Stage) i toscani Raw Visions. Il loro thrash è potente e duro e la band, in attività dal 1998 ma ancora senza un vero e proprio disco all’attivo, non si mostra affatto intimidita. Peccato che il tempo a loro disposizione sia fin troppo esiguo, ed i pezzi presentati, alla fine, saranno solo due, “Human Hecatomb” e “The Scent Of The Black Rose”. Fin troppo breve come esibizione per lasciare un segno od un ricordo. C’è da chiedersi a che scopo farli venire invece di far partire il festival direttamente con i DGM. Altro caso invece per i DGM, che erano attesi al varco per la presentazione al grande pubblico, che nel frattempo è iniziato ad arrivare ed a stabilirsi di fronte al palco club, del nuovo singer Mark Basile, chiamato a sostituire lo storico cantante defezionario Titta Tani. Sei i pezzi per loro, partendo da “New Life”, bellissima opener dell’ultimo album Different stages, e continuando sempre da quest’ultimo con “Some Day, One Day” ed “Unkept Promises”, prima di un breve salto a Hidden places per la bella “Save Me”. “Signs Of Time” ed “Is Hell Without Love” chiudono una buona prestazione, potente e sicuramente meno onlyforprogaddicts rispetto alle altre volte che avevo avuto occasione di vederli, e splendidamente suonata da tutta la band, con il nuovo singer Mark in testa. I Macbeth dal vivo spaccano un sacco, sempre e comunque. Oggi sono qui presenti all’Alcatraz per promuovere il nuovo buonissimo lavoro, 'Superangelic Hate Bringer', ed infatti l’esibizione dei milanesi parte con un trittico micidiale preso dal nuovo album, “Watch Us Die”, “To My Falling Star” ed “H.A.T.E. “, prima dei un passo nel passato per il finale all’insegna di “Crepuscolaria” e “Forever”. Qualche problema per loro a livello di audio, con la sempre splendida Morena al solito un tantino troppo bassa di volume nei confronti della controparte maschile Andreas (non è la prima volta che noto questo nelle esibizioni dei Macbeth… che sia una strategia?), ma comunque una prova muscolosa e convincente, ben apprezzata dal pubblico. Chiamati all’ultimo momento per sostituire i defezionari Eldritch, i Node hanno fatto alla perfezione ciò che a loro riesce meglio, ovvero rompere teste e spaccare ossa. Con una setlist letale, ed introdotti on stage dal ben noto sergente Hartmann di Full metal jacket, Gary D’Eramo e compari hanno compiuto una grande impresa, facendo dimenticare al pubblico di essere un rimpiazzo e non i titolari della posizione nel bill. Violenza e potenza, al grido di “trasformiamo questa Milano pacifica in una Milano violenta”, nonché perizia tecnica per una esibizione davvero convincente, che ha lasciato morti e feriti davanti alle transenne del club stage. Denigrati forse troppo da una posizione nel bill decisamente bassa, i Necrodeath hanno sofferto di vari problemi tecnici che hanno lievemente minato la loro prestazione. Con una scaletta equamente distribuita attraverso tutta la loro discografia, la band di Peso e Flegias si è comunque fatta valere alla grande, forte di un’esperienza invidiabile accumulata nei loro quasi venticinque anni di attività. Notevoli in versione live sono apparsi i pezzi, ottimi sull’inciso, tratti dalla loro ultima fatica discografica, 'Draculea'. Sicuramente la band che stuzzicava maggiormente la mia curiosità (ed anche l’unica che non avevo mai visto dal vivo prima) erano i Graveworm, da me erano particolarmente attesi dopo albums letteralmente consumati a suon di ascolti ripetuti. La band sale sul club stage sulle note di “I-The Machine”, che su disco provoca davvero la pelle d’oca, ma purtroppo i problemi tecnici colpiscono anche loro, e la song, che vive letteralmente della tastiera della keyplayer Sabine, viene suonata quasi per intero prima che qualche accordo della corpulenta strumentista si riesca ad udire tra le chitarre. Ben otto le canzoni per la band, prese esclusivamente dagli ultimi lavori della band, da 'Engraved In Black' in poi. Ottima la prova generale, con il singer Stefano Fiori in primis, per una band che assolutamente devo rivedere da headliner di serata prima o poi. I Vision Divine, per chi vi scrive, rappresentano il picco qualitativo per quanto riguarda il power in Italia (ok, ci sono anche i Rhapsody Of Fire, ma li considerate ancora un gruppo a livello nazionale? Ormai sono da considerare al pari delle grandi bands straniere), ed anche per questa esibizione hanno confermato il loro grandioso stato di salute. Una buona scelta dei pezzi ed una impareggiabile prestazione del magnifico Michele Luppi, al solito in gamba anche come cabarettista ed intrattenitore oltre che come singer, hanno permesso alla band di farsi apprezzare anche a chi di solito è refrattario al genere, e l’esibizione di mr. Olaf Thorsen e compagni è stata uno dei picchi assoluti della giornata. Di nuovo al palco secondario per l’esibizione dei Domine, che impietosamente sono stati piazzati subito dopo quelli che possono essere considerati i rivali diretti nei cuori dei fans. Problemi tecnici per loro, soprattutto per quanto riguarda le keys di Riccardo Iacono, ed una esibizione abbastanza penalizzata dal punto di vista sonoro. Il pubblico ha comunque compreso e capito la situazione, ed ha sostenuto a dovere Morby e co. che forti di una setlist azzeccatissima hanno comunque fatto una grandiosa figura. È l’ora di uscire dal campo di battaglia, e di piazzarsi in disparte in una posizione sicura, perché gli Extrema non fanno nè feriti nè prigionieri, e da sempre sono accompagnati da un pogo selvaggio che poco apprezzo. La mattanza ha inizio sulle note di “New World Order”, e con suoni perfetti e potenti come la band merita si è capito subito che questa esibizione sarebbe stata decisamente un successo da ricordare. La sezione ritmica terremotante, i riffs taglienti di Tommy Massara ed i continui incitamenti al “fottuto massacro collettivo” da parte di Perotti hanno accompagnato il pubblico fino alla conclusione del set, passando attraverso successi quali “Second Coming”, “All Around” e “Displaced”, set portato a termine con “Money Talks” e con la potentissima cover di “Ace Of Spades”. Gran bella prova per i milanesi. È giunta l’ora dei liguri Sadist, che lo scorso anno al GOM sono stati protagonisti di una prova assolutamente convincente. E che anche questa volta non hanno deluso, anzi. Con una scaletta articolata sull’intera carriera della band (tranne l’album 'Lego', completamente ignorato) Tommy Talamanca e Trevor hanno guidato i Sadist alla vittoria con un’esibizione potente e superbamente tecnica, culminata con l’hit “Sometimes They Come Back”. Da segnalare il boato di approvazione da parte del pubblico quando Trevor, ringraziando chi oggi è presente all’Alcatraz, dà senza mezzi termini delle checche ai Nightwish ed ai loro fans, elevando a veri duri a chi ha preferito l’IGOM. Headliners della giornata italiana nell’edizione del decennale del Gods, nel 2006, gli Strana Officina anche oggi hanno dimostrato di valere quanto gli è attribuito dalla storia del metallo italiano. Bud, Dario, Rolando ed Enzo sono stati artefici di una prova maiuscola, che a colpi di hits quali “Non Sei Normale”, “King Troll”, “Metal Brigade” e soprattutto il medley “Luna Nera/Autostrada Dei Sogni”, ha lasciato tutto il pubblico senza fiato. “Officina” ha chiuso un set che difficilmente potrà essere dimenticato da qualcuno. Tra le bands che a mio avviso godono di un push eccessivo nella scena italiana attuale, probabilmente al primo posto si piazzano i Fire Trails di Pino Scotto. Un concerto il loro quasi di contorno al comizio del vecchio Pino, più interessato apparentemente a sparare a zero su Pippo Baudo, sulla figlia di Pippo Baudo, su San Remo, su Fabrizio Moro, sulla classe politica italiana, sulla sinistra in Italia e sui fans dei Nightwish che a cantare. Ed anche quando si tratta di suonare, beh, non è che la band ci metta proprio l’anima, con lo statico Pino in testa. Sinceramente, il momento morto della giornata, ed un concerto noioso del quale se ne faceva volentieri a meno. È l’ora del giudizio, ed introdotti dalla famosa intro ave satani, ecco arrivare su un palco allestito con croci, candele e drappi come accadeva negli anni ’80, i Death SS. La band, lasciando da parte i modernismi cyber recenti, è abbigliata con i costumi storici, ovvero da morte, da zombie, da mummia e da uomo lupo, e, sulle note di “Piece Of Mind”, accoglie on stage, all’interno di una bara scarlatta, Steve Sylvester nel ruolo del vampiro. La scaletta è davvero da urlo, e prevede quasi esclusivamente (poche le eccezioni) brani provenienti dal periodo d’oro della band, quello culminato con lo storico Coursed concert. Molto teatro, angles macabri molto ben studiati e nudi femminili (anche troppo volgari) come se piovesse, il tutto condito da fiammate, esplosioni ed effetti speciali a profusione. A livello strumentale la band ha fornito una gran prova, degna dell’occasione, ovvero l’ultimo concerto prima di chiudere baracca e burattini, ma numerosi problemi tecnici hanno assillato il set lungo tutta la sua durata, a confermare ancora una volta la fama di band maledetta che i Death SS si portano dietro da tempo. Davvero un gran peccato. Che dire per chiudere… gran bella giornata, evento molto ben riuscito e ben organizzato e buona affluenza di pubblico. Dopo la scommessa vinta, speriamo in una nuova edizione per il prossimo anno.

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