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RHAPSODY OF FIRE

Quando si menziona una band come i Rhapsody of Fire, si fa cenno a quella che è in tutti i sensi un'istituzione del power metal sinfonico a livello internazionale. Ed il fatto che questa band sia italiana è solamente un motivo di orgoglio ed un onore per gli appassionati di musica nel Belpaese. La separazione da uno dei membri storici dei Rhapsody, quale è Luca Turilli, ha permesso al resto della band capitanata da Fabio Lione ed Alex Staropoli di ricomporsi e di rimettersi in carreggiata, e con il supporto di nuovi e stimati musicisti del settore la band è riuscita a rinnovarsi dandosi nuovo slancio e nuova vitalità, contribuendo a produrre lavori di indubbia qualità. I Rhapsody of Fire del periodo post-Turilli è giunta al secondo appuntamento discografico, e proprio nel giorno della pubblicazione di 'Into The Legend' Hardsounds.it ha avuto l'occasione di intercettare Fabio Lione e l'attuale chitarrista della band, Roberto De Micheli. Dando vita ad una conversazione corposa e ricca di spunti interessanti, che ha spaziato dall'album nuovo fino alla situazione musicale in generale.

Ciao Fabio e Roberto e benvenuti su Hardsounds.it. Siamo giunti alla pubblicazione di ‘Into The Legend’, il vostro secondo disco con questa formazione creatasi dopo la separazione dall’amico Luca Turilli. Dal giorno della divisione, come si è evoluta la vostra ispirazione musicale che ha portato a produrre dei lavori che continuano con la strada della buona qualità e dell’epicità che vi contraddistingue?

FABIO: Penso che la cosa buona che ha fatto la band, che ha dei nuovi elementi, è stata quella di aggiungere delle pennellate al quadro principale che già avevamo. Penso che abbiamo appunto concluso la cosa con Luca in maniera amichevole, e quindi abbiamo ingaggiato Roberto, che ha un modo di suonare la chitarra per certi aspetti simile e per altri no, e direi che la band ha fatto la cosa giusta nel raccogliere questo stile che ha Roberto in maniera appropriata. Penso che giustamente una nuova persona può dare anche dei nuovi elementi, e non soltanto cercare di essere tra virgolette un sostituto ed emulare soltanto il precedente chitarrista. Poi abbiamo cambiato bassista (con l’ingresso di Alessandro Sala, ndr), e chiaramente ci sono degli aspetti diversi. La cosa importante è che la proposta della band sia comunque valida e rispecchi la natura del sound della band, e a mio avviso è anche meglio che la band riesce ad inserire qualche elemento nuovo in una formula già avviata e già collaudata. Secondo me è la cosa migliore che la band ha potuto fare.

ROBERTO: Credo che Fabio abbia elencato esattamente l’idea di fondo, che è quella di dare una linfa nuova a qualcosa che era già esistente e che funzionava già bene. Quindi, per usare un termine che abbiamo usato qualche minuto fa prima dell’intervista, abbiamo tentato di “svecchiare” il prodotto, mantenendo quelli che sono gli elementi essenziali e che contraddistinguono il sound dei Rhapsody of Fire, cercando di attualizzarlo e contestualizzarlo nel tempo presente. Diciamo che abbiamo usato un lifting, mantenendo la forza della band, enfatizzando le sue caratteristiche attraverso il tentativo di modernizzarle con certi tipi di suoni e di riffing, con il fatto che, per esempio, Fabio ha cantato in certe parti in modo più aggressivo, senza però magari utilizzare lo screaming se non in certi punti. È stato proprio un lavoro atto a prendere quello che c’è di buono e cercare di dargli ancora più valore, con i mezzi che avevamo a disposizione.”

Quali sono le storie più interessanti ed importanti che ponete in essere nel nuovo album? FABIO: Abbiamo voluto dare un sound a questo album che rispecchiasse un po’ i primi lavori della band, inserendo elementi nuovi con un sound più moderno, anche per quanto riguarda la produzione. Abbiamo fatto un pezzo che è quello finale e più lungo, che in realtà era già stato fatto in parte e non del tutto durante i lavori dell’album precedente, ed abbiamo deciso in includerlo in questo lavoro, riarrangiandolo e dandogli il tempo di finirlo di scrivere. È interessante notare che abbiamo usato diversi studi, abbiamo lavorato con strumenti veri, come flauti, baroque ensemble e via dicendo, e in generale mi piace questo sound che richiama il passato ma che strizza l’occhio anche a sonorità più moderne. Secondo me è stata una scelta buona.

AFM Records, nei documenti promozionali, sostiene che ‘Into The Legend’ sia il più grande capolavoro che la band abbia mai prodotto. Indipendentemente dalla questione promozionale e dall’approccio al mercato, voi come band ritenete che ‘Into The Legend’ sia il vero capolavoro della band?

ROBERTO: ’Into The Legend’ è il risultato di uno sforzo personale e di tutti quanti noi, quindi da questo punto di vista può essere considerato sicuramente uno dei massimi risultati che possiamo ottenere, perché riuscire a mettere insieme gli impegni, creare la musica per come l’abbiamo pensata, dare la possibilità di avere ben quattro studi a nostra disposizione, riuscire a mettere insieme le necessità di tutti quanti, in tutto questo dietro le quinte c’è un lavoro pazzesco, ma veramente pazzesco. Questo lavoro ti fa sfruttare delle energie in modo tale che tutto lo sforzo profuso ti fa invecchiare di dieci anni. Quindi, da questo punto di vista possiamo considerare ‘Into The Legend’ è forse uno dei più grandi sforzi in termini di produzione, perché lavorando in quattro studi, con un’orchestra con più di 50 elementi, un baroque ensemble, il tutto in 66 minuti di musica, più quattro versioni di un’unica canzone in quattro lingue differenti, è stato davvero uno sforzo immane.

FABIO: Quando la band arriva ad una quota di 10 album è difficile dire quale sia il migliore, specie quando ci sono stati molti album che sono stati apprezzati. Sicuramente è un ottimo lavoro che tiene testa ai migliori lavori della band. Se io ti dicessi che questo è il miglior album della band, comunque non sarei credibile. D’altro canto penso che un fan nella media dice: “Vabbè, è l’ultimo album, è chiaro che per forza deve essere il migliore…”. Quindi anche se io lo dicessi, probabilmente una fetta delle persone non ci crederebbe. Ti posso dire che sicuramente è un lavoro fatto molto bene che quanto meno può tenere testa ai migliori lavori della band.

Copertina di 'Into The Legend'

Nei vostri artwork siete sempre rimasti legati a figure leggendarie che hanno a che fare col mondo fantasy, come draghi, cavalieri, esseri mitologici, ecc. C’è qualche membro nella band che nutre una certa passione per questo mondo e queste figure? E nella creazione di queste figure, quali stati d’animo si creano in voi? Suppongo vi diano una certa dose di carica…

FABIO: Principalmente tra di noi Alex Staropoli ama molto queste tematiche, come anche Turilli le amava. In parte anche io, anche se più di fantasy vero e proprio mi piace di più approcciarmi a cose un po’ più eteree, figure un po’ mistiche come ad esempio angeli. Non per forza deve essere un troll. Chiaramente la band negli anni ha nutrito questo aspetto che non è da sottovalutare, nel senso che è difficile che la band parli semplicemente di cose tipo "I love you baby…" e cose del genere. È difficile che trovi un testo di questa band che parli di una donna e di una lettera d’amore, oppure di una serata in un pub.

ROBERTO: Aggiungerei anche che il tipo di artwork ti aiuta nel messaggio. C’è la sempre la novità di far percepire il desiderio che il disegno restituisca le bordate di energia positiva e di forza che la band vuole comunicare. Quindi un artwork con determinate caratteristiche ti aiuta a comunicare questo. La figura che sia un cavaliere o un drago è un modo per trasmettere la nostra voglia di dare energia positiva. Se tu guardi Fabio, lui è proprio l’incarnazione della forza quando canta. Analogamente, quando guardi un artwork con una figura forte percepisci subito che la band vuole dare una forte carica, anticipando in parte quello che è il contenuto.

Siete stati considerati in passato come degli artisti che fanno sonorità metal adatte a certi stili cinematografici, che possibilmente si avvicinano a quegli stilemi fantasy accennati prima. Se doveste scegliere un film, o una saga, su cui comporre musiche, quale film scegliereste? FABIO: Interessante come domanda. Non saprei. Uhm, potrebbe essere sicuramente un film stile ‘Braveheart’, o comunque non necessariamente film che rispecchiano temi puramente fantasy, tipo ‘Il signore degli anelli’. Cose comunque che hanno a che fare con una certa epicità, come la chiamiamo noi. Storie che rimandano a figure e sensazioni che hanno un aspetto epico.

Quindi film che connettano sia il mondo fantastico, sia il mondo reale…

FABIO: Storie che possono dare forti emozioni e che si possono adattare a certi passaggi musicali che abbiamo. Sicuramente una commedia non coincide con la nostra proposta musicale.

ROBERTO: Io sono appassionato di ‘Matrix’, perciò ho sempre sognato di fare la colonna sonora di quella trilogia. Anche per il fatto che ‘Matrix’ in qualche modo è quasi un mondo fantasy proiettato al futuro.

Come negli album precedenti, anche in ‘Into The Legend’ trovano spazio delle liriche in italiano, specialmente nella suite conclusiva “The Kiss Of Light”. Avete mai pensato di fare un album interamente in italiano?

FABIO: Ovviamente sì, abbiamo pensato tante volte di farlo da tanti anni, ma alla fine non so perché questa cosa non è ancora avvenuta. Non è detto che magari in futuro non ci possa essere un lavoro del genere. Sicuramente sarebbe interessante, anche se magari è un po’ azzardato per il tipo di musica, perché raramente ho sentito gruppi che fanno questo tipo di musica ed approcciarsi ad un lavoro discografico completamente in italiano. Sicuramente di questa cosa siamo stati fra i pionieri, ed abbiamo fatto diverse canzoni e produzioni in italiano, cosa che di solito quasi nessuno faceva in Italia. Col tempo vedremo…

ROBERTO: E’ una proposta che deve avere senso, ci deve essere un motivo, quindi anche creare le condizioni in modo tale che funzionino in un determinato modo, perché se vuoi fare una cosa tanto per farla il pubblico non ti crederebbe.

Forse deve avere anche senso dal punto di vista del mercato discografico…ROBERTO: Se decidi di inserirti nel mercato discografico, allora stiamo freschi, perché devi avere l’idea che funziona. Certamente ci sono delle cose che funzionano in italiano perché c’è la vocalità e la sonorità delle parole, e che nell’ambito musicale è una cosa che ha senso, che funziona ed è scorrevole; quello che ti arriva è una cosa che ti colpisce in positivo, che poi puoi piacerti o meno, però ti colpisce. E il fatto che ti colpisca questa proposta è già un risultato, ed arrivare ad avere questo significa spendere del tempo per vedersi realizzare e creare questo prodotto, e deve soprattutto arrivare nella sua forma giusta e compiuta. Deve arrivare il prodotto  di un lavoro su cui ci abbiamo pensato tre anni, non dieci minuti, e deve funzionare.

Fabio, ti trovi meglio ad interpretare e cantare testi in inglese o in italiano? FABIO: Ti dico la verità, è chiaro che la lingua madre ti facilita, nel senso che è la tua lingua e chiaramente hai meno problemi quando canti in italiano. Ed è così anche nel mio caso, nonostante sia abituato a cantare in inglese e quindi non ho grossissimi problemi. La realtà è che a me piace più la lingua italiana, però la lingua inglese è la lingua parlata in tutto il mondo ed ovviamente bisogna confrontarsi anche con questo.

Fabio Lione (photo by Edoardo Argenio)

A detta di molti, tra addetti ai lavori, esperti del settore e semplici e puri appassionati, siete considerati i capostipiti del power metal sinfonico in Italia. Quest’etichetta, quest’onorificenza in qualche modo vi condiziona, o come la penso io vi rende più consapevoli dei vostri mezzi? FABIO: A mio avviso un po’ ci condiziona, perché la band, essendo stata etichettata in una certa maniera, difficilmente può tradire completamente le proprie origini e le aspettative che si vengono a creare nei fatti. Quindi difficilmente la band può in futuro pensare di realizzare un album blues. La cosa però non è negativa,  nel senso che sapere di essere una delle band che può aver influenzato molte altre band è una cosa molto positiva, e vuol dire che hai fatto una cosa buona e hai creato nel tuo piccolo un “modus” di fare che funziona, altrimenti molte band non avrebbero cercato di emularti o di seguirti. Quindi sicuramente è una cosa positiva.”

Fabio e Alex sono i membri storici dei Rhapsody Of Fire. La vostra lunga militanza influisce anche nella scelta e stesura delle musiche, oppure anche i membri restanti danno un supporto importante in merito? FABIO: Soprattutto in questo album credo che tutti i membri della band abbiano dato un notevole supporto. Ci sono molte idee che vengono per esempio da Roberto con le sue idee e le sue parti di chitarra, o alcuni passaggi che vengono da Alexander Holzwarth, il batterista. È chiaro che la maggioranza delle intuizioni dal punto di vista musicale viene da Staropoli, anche se non complete, nel senso che non ha dato, soprattutto in questo album, le canzoni o le idee al 100%. Lui ha dato grosso modo come indirizzare un pezzo, nel quale inserire per esempio  i passaggi di batteria, e magari uno come Roberto può inserirci dentro passaggi, riff e quant’altro. È bello alla fine vedere che c’è stato un lavoro di squadra, nonostante il compositore principale sia Staropoli.

Nella vostra carriera avete suonato in giro per il mondo più volte. Quale paese e quale pubblico vi sono rimasti più impressi nella mente? ROBERTO: Personalmente, al di là del fatto che non credo sia una cosa così scontata come può sembrare, credo che tutto il pubblico dei Rhapsody of Fire è un pubblico dedicato, cioè che ci è capitato di suonare sempre davanti a delle persone che amano la band. Quindi è difficile per partito preso rispondere ad una domanda del genere, perché ognuno dimostra il proprio amore per la band in modo diverso e particolare. Poi ovviamente ci sono dei momenti in cui vieni colpito più da certe cose che da certe altre. Sicuramente per la capacità di esternare la propria emotività, ad esempio il Sudamerica è un posto dove le persone sono così talmente state vicino a noi ed emozionarsi. Un altro paese che mi ha particolarmente colpito è il Giappone, mi ha colpito proprio il modo di affrontare il concerto e l’evento come un qualcosa che andava ricordato a lungo nella mente dei fans. In Giappone non c’era gente con i telefonini, erano tutti con le braccia alzate, e per te che sei sul palco e vedi questo ti risulta essere una delle cose più coinvolgenti che ti possano capitare. L’evento per loro era veramente sentito, però per te che arrivi e vedere questo ti colpisce molto di più.

Riallacciandoci al discorso del Sudamerica, so di band che quando fanno la tournée in quelle terre vengono proprio idolatrate, vengono trattare come delle divinità…

ROBERTO: Sì, è vero. In Sudamerica ti fanno sentire quasi imbarazzato qualche volta perché veramente ti trattano in un modo che davvero non ti aspetteresti.

FABIO: Sono d’accordo con Roberto perché grosso modo i paesi che spesso stupiscono sono quelli sudamericani con il loro calore, ed anche lo stesso Giappone. Poi magari i fans non sono così selvaggi, però nella loro semplicità e compostezza trasmettono un attaccamento alla band notevole.

ROBERTO: Tant’è vero che una delle nostre fan tra le più accanite e dedicate è proprio una ragazza giapponese, che ci segue dal 1997, dal primo album, e che spesso e volentieri prende dei voli, arriva anche in Italia e in altri paesi. Una volta è venuta perfino in America, ad Anaheim.

Roberto De Micheli (photo by Claudine Strummer)

Ora facciamo un simpatico gioco, che spero sia di vostro gradimento. Avete a disposizione la possibilità di scegliere due/tre lettere dell’alfabeto, alle quali associare qualsiasi cosa: una parola chiave, una persona a te importante, un simpatico aneddoto, un luogo preciso, ecc. ecc. Da ciò che sceglierete, vi do la possibilità, per ognuna di queste lettere, di dirci un breve pensiero.

FABIO: La lettera A, che sta per Aurora, mia figlia, e che è la persona che più mi dà la carica giusta per fare tante cose. E scelgo la lettera M di Musica, perché rappresenta quello che ho fatto negli ultimi 25 anni della mia vita. E direi che basta questo.

ROBERTO: Per non voler essere ripetitivo, invece che dire le iniziali dei miei figli e di mia moglie, dico la F che sta per Famiglia; dedicandoti alla musica per tanto tempo e così da vicino non è mai una cosa semplice, e la famiglia assume un ruolo veramente importante perché, soprattutto per me che ho una moglie e due figli, se non avessi un apporto da parte loro sicuramente non sarei qua. E dall’altra parte, per non dire M di Musica, ti dico la C che sta per Chitarra, che in questo momento è come se qua dentro togliessero l’aria, mi sentirei come quando io sono senza la mia chitarra…

Per concludere, vi chiediamo un’opinione spassionata, a fronte dell’imminente chiusura di una location importante per la musica dal vivo, almeno nel Nord Italia, della Rock’n’Roll Arena di Romagnano Sesia, sulla difficoltà dei locali live a rimanere aperti resistendo nell’offrire le loro proposte. Innanzitutto quali sono, qualora ne abbiate, i vostri ricordi in merito alla Rock’n’Roll Arena; e cosa pensate della situazione in generale della musica live in Italia.

ROBERTO: Sinceramente di ricordi riferiti all’Arena non ne ho, non avendoci mai suonato e quindi non vorrei dire strafalcioni. Quello che posso dire però non parte da un punto di vista dei musicisti, ma partirei da un discorso più generale. Quando un posto chiude è sempre una cosa negativa, indipendentemente che faccia parte di un’ambiente musicale o meno, perché è una cosa che fa male alle persone che ci hanno creduto in questo progetto. Quindi questa è la prima delle cose che non vanno bene, perché un locale che è il sogno di una vita, il sogno di qualcuno, nel momento che chiude è un sogno infranto, e questo è in primis un dispiacere. Quindi mi sento di dare un bocca al lupo ai ragazzi dell’Arena, sperando che riescano a reinventarsi in qualche modo. Naturalmente se hanno fatto questo, vuol dire che ci credevano, e quindi spero che riescano a portare avanti i loro sogni. Per quel che riguarda invece la musica live, in generale e non solamente in Italia perché è un discorso un po’ generico,  c’è sicuramente un problema di saturazione, di troppa offerta per quelle che sono realmente le possibilità , le necessità e le potenzialità, ed è tutto legato al fatto che si vendono meno dischi e che tutti vogliono suonare, ma la gran parte dei posti devono far suonare band che ti porta la gente. È un discorso talmente tanto complicato, talmente tanto legato a vari step ed a varie cose che è difficile dare una sentenza dove dici che la situazione è questa o quella. La situazione è problematica perché siamo in un sistema che è problematico; siamo in un sistema che non funziona, che è in cambiamento, e che in questo momento non si hanno le possibilità reali per capire come far funzionare questo sistema per come dovrebbe essere.

FABIO: Io faccio i miei migliori auguri, dato che sono stato ospite del locale almeno 2-3 volte in diversi contesti. Una volta addirittura ho organizzato nell’Arena “Italy’s Got Voices”, e i ragazzi si sono sempre dimostrati ottimi, e gli va dato atto di aver avuto molto coraggio nell’aprire e gestire un locale in una zona difficile come quella di quel territorio e delle parti di Torino, dove di solito non è che sia molto semplice avere un locale e portare delle persone ai concerti di questo tipo di musica.  Io comunque la vedo come una vittoria perché i ragazzi, in un contesto così difficile, sono riusciti a portare centinaia di date in porto, di cui alcune di grande nome ed anche esteri,  e quindi gli va dato atto di aver creato una cosa che finché è durata è stata molto bella, in un posto che di per sé era già molto difficile, e loro ci sono riusciti per diversi anni. Nonostante non sia per niente un posto baricentrico, hanno organizzato centinaia di serate, e non a caso ho scelto quella location per fare ad esempio un progetto come “Italy’s Got Voices”, che è stata una cosa molto particolare. Mi spiace che questa cosa sia giunta al termine. Evidentemente hanno fatto tutti i loro ragionamenti, però hanno fatto bene.

Fabio Lione con Roberto Tiranti e Morby live @ Italy's Got Voices - Rock'n'Roll Arena Romagnano Sesia - 13/10/2012 (photo by Yuri Minghini)
 

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