NASTY FARMERS
I Nasty Farmers non sono la classica band che si accontenta, vuole andare sempre oltre. Passando per esempio dall’essere una stoner band a un’ottima realtà western rock. Come? Con tanta buona volontà e il mettersi sempre in gioco. Il batterista Luca Sestini ci ha raccontato tutto…
La prima cosa che ho notato di voi è il percorso stilistico che avete affrontato dall’esordio a oggi: una band che ha saputo muoversi da contesti puramente rock fino ad arrivare a quello che siete oggi. Come si sono evoluti i fatti e come siete arrivati a questo tipo di sound? Abbiamo tutti influenze musicali differenti e abbiamo lasciato che la voglia di sperimentare ci facesse trovare un filo di connessione tra tutto quello che ci piaceva. A differenza del primo lavoro, qui siamo riusciti a sperimentare tutti assieme, sia in studio che live i vari brani durante la composizione.
Su di voi si parla decisamente bene, citando il sound ‘70s come primaria fonte d’ispirazione. Credete che questa attenzione morbosa nel volervi catalogare porti a qualche beneficio? Sinceramente non mi sono mai interessato alla catalogazione di genere, ho sempre ascoltato ciò che mi piaceva e quindi non saprei dirti se possa essere un bene o no! Sicuramente il fatto di essere poco catalogabili, ma riconoscibili, ci fa piacere!
Il vostro modo di proporre rock mi ricorda ovviamente le band di trenta, quarant’anni fa. Siete d’accordo con questa mia tesi e cosa vi rende maggiormente orgogliosi di “The Strawman Fallacy”? Una grande soddisfazione è proprio il buon esito del rischio “stilistico” che ci siamo presi, contaminando molto, e forse è proprio questo che ci può accostare al periodo da te citato, dove seppur in ambito rock e hard-rock c’era molta contaminazione e sperimentazione, senza perdere l’identità di partenza.
Potremmo parlare di un disco tendenzialmente legato a sentimenti contrastanti? Nei vostri testi vengono espressi molti concetti che potrebbero far pensare a ciò d’altra parte…Sì hai visto bene, il tema portante del disco è proprio il contrasto, la contrapposizione nelle varie situazioni di vita in cui si realizza il duro scontro con la realtà.
Quale scrittore/musicista vi ha maggiormente influenzato nel modo di proporre i testi? I testi sono stati scritti da Matteo con la collaborazione di Luca Terreni, nostro amico da molto tempo. Di per certo posso dirti che le influenze maggiori derivano dalla scena grunge degli annii Novanta.
Quanto è difficile proporre questo tipo di musica in un Paese che ha come modelli rock esempi iper commerciali? E’ molto difficile, purtroppo! Ma non credo sia colpa dei modelli proposti, intese come le band, ma piuttosto di una poca fiducia nel voler proporre cose nuove o diverse da parte dello show-business.
La doppietta iniziale “Nastyville” / “Woodman” penso sia perfetta per descrivere il vostro carattere in chiave musicale: brani brillanti e col giusto piglio. Come sono nati i brani del disco e quali sono state le situazioni più complesse da affrontare? Sì anche a noi ci è sembrato un buon modo per dire “Siiiiiii è qui la festaaaa”! I brani principalmente nascono da idee di Matteo piuttosto che mie, a volte è solo la voglia di andare a esplorare un territorio nuovo per noi! In questo disco abbiamo avuto modo di arrangiare e sperimentare con tutta la band, sia in studio che live e credo che sia stato molto utile per trovare un, diciamo, “nuovo sound”! La sfida che ci siamo posti è sicuramente stata quella di trovare un filo conduttore, sia di suono che di contenuti, per tutti i brani del disco mentre continuavamo a provare a muoverci liberamente nei diversi contesti musicali.
In un mercato discografico come quello odierno faccio realmente fatica a posizionare un progetto come il vostro. Quali sono a vostro avviso le band italiane che potreste definire vicine al progetto Nasty Farmers? Ogni band in italia che propone rock, nel senso più ampio del termine, quindi con semplice voglia di sperimentare e fondere passato e presente, può essere definite vicina al progetto Nasty Farmers, anche se con tendenze differenti dalle nostre!
La reazione dei media è stata fin qui più che positive. Ve lo aspettavate? No! Stiamo ancora finendo il container di birre che abbiamo preso per festeggiare!
L’artwork è davvero molto bello. Cosa volevate comunicare attraverso questo concept grafico? Volevamo comunicare il tema fondamentale della dualità, espresso anche nel titolo dell’album, attraverso un soggetto “uomo di paglia” che ha preso forma grafica dalla visione di Luca SoloMacello, curatore di tutte le grafiche dell’album.
Un saluto ai nostri lettori? Ciao! E mi raccomando: Go To Plow!
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