MANTRA

Ciao ragazzi…presentate il gruppo ad Hardsounds… I Mantra sono una hard rock band. In principio si chiamavano Mad Mice. Della formazione originale è rimasto solo Gianluca Galli, il chitarrista. Jacopo (Meille) il cantante è nella band dal 1990 mentre Senio Firmati (batteria) e Andrea Castelli (basso) sono il motore del gruppo dal 2000. ‘Hate Box’ è il nostro terzo disco, e come gli altri è un punto di arrivo e di partenza nel nostro percorso musicale. La prima cosa che ho notato in "hatebox" è il gran lavoro fatto sulle melodie, ogni canzone entra direttamente in testa e non ci esce più via, vorrei sapere quanto è stato duro per voi rendere questo possibile in un modo personale…. Gianluca: ‘Hate Box’ è un disco frutto di una profonda maturazione da parte della band: volevamo riuscire a coniugare le nostre radici anni ’70 ad sonorità più moderne con una particolare attenzione proprio alle melodie. Per fare questo abbiamo composto le canzoni in sala prove, tutti insieme, registrando le varie session finché non eravamo soddisfatti. Le canzoni dovevano essere riproducibili dal vivo senza l’apporto di nessun altro musicista o strumento campionato. Dimmi qualcosa sulla registrazione e produzione del CD... J: Abbiamo registrato ai Virus Studio di Siena di Alessandro Guasconi, il nostro produttore. Il suo lavoro è stato incredibile non soltanto dal punto di vista tecnico ma soprattutto psicologico: ci ha spronato, consigliato “coccolato” e strigliato ben bene nei mesi di registrazione. È stato fondamentale poter contare su una persona che ci conosce ed apprezza la nostra musica ma al tempo stesso non è un componente della band. Quali cantanti ti hanno ispirato nel passato? E oggi? J: Appartengo alla vecchia scuola, i miei cantanti preferiti sono Paul Rodgers, Robert Plant e David Coverdale prima della sua “americanizzazione”. Mi piacciono le voci calde e profonde, non m’interessa la perfezione: Phil Moog degli UFO per esempio, Mike Farner dei Grand Funk Railroad ma anche Jeff Buckley, Elvis Costello, Susan Tedeschi. C’è poi un disco di una cantante blues uscito un paio di anni fa che è una bomba: Bettye LaVette; il disco si chiama ‘I’ve Got My Own Hell To Raise’. Tour italiano con gli europe… Una grande opportunità di visibilità e promozione? G: Abbiamo aperto per loro già nel 2005 ed è stata un’esperienza fantastica. Quest’anno abbiamo suonato a Roma: sono stati 27 minuti davvero intensi! Avendo un disco fuori, suonare di fronte ad un pubblico numeroso come quello di Roma crediamo che possa aiutare a far girare il nome della band. Ancora live nel prossimo futuro o di nuovo in studio per il nuovo materiale? J: Suonare dal vivo musica propria non è facile in Italia. Ci scontriamo con una società che non ha mai riconosciuto alla musica quel valore culturale che è invece altri paesi hanno sempre non solo apprezzato ma anche sovvenzionato. Noi facciamo il nostro, di certo non ci manca la voglia di salire su un palco. Per quanto riguarda progetti futuri, ne abbiamo già uno in mente da tempo, ma ancora è troppo presto per parlarne, siamo un po’ superstizioni. Si può vivere oggi in italia di musica? E cosa cambieresti? G: Se fai il turnista, forse sì, altrimenti, se vuoi suonare la tua musica senza compromessi, credo che sia difficile, ma non impossibile. Il cambiamento deve partire dai musicisti che decidono di fare meno compromessi e di imporre in primo luogo a se stessi, di promuovere la musica che piace a loro. In realtà questo sta già accadendo: in Italia siamo partiti in ritardo, ma sono ottimista.