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PEARL JAM: Gigaton

data

03/04/2020
82


Genere: Rock, Alternative Rock, Grunge
Etichetta: Monkeywrench / Republic
Distro:
Anno: 2020

I Pearl Jam ormai sono una vera e propria istituzione, e per un’istituzione sette anni di silenzio sono davvero assordanti. Tra false partenze ed un’interruzione a seguito della tragica morte di Chris Cornell, la lavorazione di questo nuovo ‘Gigaton’ è stata lunga e diluita nel tempo, interrotta e poi riavviata a più riprese. Per far sì che la band lavorasse con la tranquillità ed il tempo necessari (tra progetti solisti e quant’altro) il nuovo produttore Josh Evans, già ingegnere e tecnico del suono della band, ha costruito un piccolo studio casalingo; e proprio questo ambiente più intimo ed accogliente ha contribuito alla costruzione di un disco magistrale, forse il migliore della band dai tempi di ‘Yield’. Ma procediamo per gradi, partendo proprio da Evans: sua un’ulteriore idea vincente, ovvero quella di curare il sound di ‘Gigaton’ cercando di catturare l’energia live della band, vero punto forte della truppa capitanata da Eddie Vedder. Nasce così un disco con un equilibrio perfetto tra sperimentazione e tradizione; non è certo una completa rivoluzione come sembrava preannunciare il lead single “Dance Of The Clarvoyants”, fantastica ed ispirata incursione in territorio Talking Heads, ma qua e là troviamo segni di innovazione, sapientemente inseriti in un tessuto sonoro che è omai sia marchio di fabbrica, sia leggenda. Nascono così brani come la sontuosa “Quick Escape” (musica a firma Jeff Ament, davvero ispiratissimo per tutta la durata dell’album), estratta come terzo singolo che è anche miglior brano del disco e forse miglior brano in assoluto dei Pearl Jam da diciotto anni a questa parte: una scossa tellurica che parte da una strofa infarcita di chitarre alla U2 periodo ‘Zoo Tv Tour’ per poi sfociare in un ritornello esplosivo in piena zona Seattle. O come “Seven O’ Clock”, incredibile punto d’incontro tra l’ultimo Boss e certe cose dei Pink Floyd. Non mancano i brani rock secchi e diretti, quasi tutti interamente a firma Vedder, come la doppietta iniziale “Who Ever Said” / “Superblood Wolfmoon” (secondo singolo estratto, un garage che non avrebbe sfigurato in ‘Baskspacer’), il punk rock “Never Destination” e il Soundgarden sound di “Take The Long Way”, non a caso a firma Matt Cameron. Unici momenti di quiete prima del trittico finale del disco sono l’evocativa “Alright”, testo e musica di Jeff Ament (tra kalimba e fascinazioni ambient), e l’obliqua “Buckle Up”, sentito omaggio di Stone Gossard ai primissimi R.E.M. I tre pezzi finali sono una sorta disco nel disco, nel quale Eddie Vedder si prende interamente la scena: si parte con “Comes Then Goes”, forse dedicata all’amico Chris Cornell ed in piena zona “Into The Wild”, per poi proseguire con la bellissima “Retrograde” (una “Sirens” parte seconda), e chiudere un disco meraviglioso con “River Cross”, nata come pezzo solista di Vedder (e già presentata dal vivo dallo stesso frontman), ed arricchita da un organo a pompa del 1850 mantenuto intatto dalla demo incisa nel 2015. Menzione particolare per la copertina di 'Gigaton' ad opera del fotografo Paul Nicklen, uno splendido scatto che mostra la calotta dell’isola di Nordaustlandet, in Norvegia, chiaro riferimento al preoccupante scioglimento dei ghiacciai. Ciliegina sulla torta di un album davvero memorabile.

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