NERONOIA: IL RUMORE DELLE COSE
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09/04/2008Concettualmente non si discosta di una virgola dal precedente 'Un Mondo In Me', anche se stilisticamente ne accentua la sfumature noise e sperimentali. Riprende il discorso lasciato dal precedente ed i suoni, ancora più filtrati, diventano una sorta di seconda parte, il lato B delle composizioni precedenti. Un filo logico ben saldo come testimoniano i titoli dei brani ancora una volta in numerazione romana che partono dall'XI. 'Il Rumore Delle Cose', secondo capitolo del progetto Neronoia(Canaan e Colloquio), per dirla subito, si pone un gradino sotto l'esordio. Pregevole, ma non all'altezza del precedente. Forse troppo ragionato, ricercato e meno spontaneo perde quell'immediatezza, quell'urgenza che contraddistingueva il debutto. Ma sia chiaro trattasi di sottigliezze, perché se preso per quello che vale il disco manifesta una qualità comunque spaventosamente alta. E' un lavoro che sa far male, molto male, soprattutto nella sua seconda parte dove include i pezzi migliori come "XVII" e "XVIII" che ti scorticano delicatamente l'anima, senza fretta: una carezza con la carta vetro nel palmo della mano. Le atmosfere oltre che lugubri si fanno anche algide, rarefatte, ma postume di una devastazione. Se 'Un Mondo In Me' rappresentava lo stato di una condizione esistenziale disperata, 'Il Rumore Delle Cose", invece, ne evoca le conseguenze. Un livello successivo del male di vivere che mostra gli scenari interiori dopo la conclusione di una guerra. Cosa ti resta dentro se non cumuli di macerie, corpi straziati e fumo nero come la pece che inonda la terra? Da qui l'accentuazione delle sfumature industrial e noise su cui, però, a dire il vero, le liriche di Gianni si innestano in modo meno ispirato rispetto al debutto, meno incisive ed a tratti ripetitive. Un disco che, probabilmente, non ripaga del tutto dell'attesa, in definitiva, ma suggestivo, emotivamente imponente, evocativo. La conferma di un progetto che cerca la chiave della porta per dare aria ad un'interiorità che non conosce pace, ad una condizione umana perennemente apatica, ma che non ha nessuna intenzione di cambiare stanza perché le cose che fanno rumore lì dentro segnalano presenza di vita. Dolorosa, lancinante, ma clamorosamente vera.
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