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VATTNET VISKAR: Settler

data

30/07/2015
67


Genere: Black Post Metal
Etichetta: Century Media
Distro:
Anno: 2015

Gli statunitensi Vattnet Viskar, a distanza di due anni dal debutto 'Sky Swallower', sfornano il suo successore 'Settler'. Il quale si pone come un misto di black metal e post metal; il ricordo più presente è quello dei Cult of Luna e in parte anche dei The Ocean, intriso delle più importanti sfumature provenienti dal black metal più tradizionalista (Emperor su tutti), con la presenza di velate sfumature di progressive al limite dell’estremo, caro ai lavori più recenti di Ihsahn. Il mixing è abbastanza serrato, c’è poca pausa tra una traccia e l’altra. Ci si aspetta quindi che una traccia dal sapore più post ed atmosferico lasci subito il posto ad un’altra introdotta da sfuriate tipiche del black metal, con la batteria di Seamus Menihane e le chitarre di Nicholas Thornbury e Christopher Alfieri che sprigionano al fulmicotone tutta la loro forza. E’ curioso vedere come gli interpreti, che dalle foto promozionali sembrano essere dei bravi ragazzi qualunque, all’atto dell’esecuzione della loro proposta musicale riescano a tirare fuori delle soluzioni così estreme e così sinistre. Soluzioni capitanate dalla voce di Nicholas Thornbury, carica di sensazioni laceranti e quasi strazianti, che a tratti, soprattutto nelle loro parti più aggressive e black, sembrano davvero ricordare gli artisti più importanti di quella scena old-school black che in Scandinavia negli anni ’90 dettava legge in maniera assoluta. C’è da dire comunque che le soluzioni più propriamente post e progressive metal hanno una certa qualità, anche se non sempre riescono a creare l’atmosfera ideale; mentre le parti black hanno la sensazione notevole di già sentito e peccano di originalità, e nonostante la voglia da parte della band di voler colpire l’ascoltatore con dei ferali fendenti, si ha come la sensazione che solo una piccola parte di questi colpi riesca a centrare il bersaglio. L’intero album dura circa 40 minuti, e nonostante alcune tracce di indubbia qualità (su tutte “Glory” e “Coldwar”), un minutaggio più lungo avrebbe potuto pregiudicare la resa del lavoro dal punto di vista di un’effettiva sopportabilità e propensione all’ascolto, dato che questo mix di influenze tendenti all’estremo è sempre impegnativo da dover digerire ed assimilare.

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