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STAIRWAY: THE OTHER SIDE OF MIDNIGHT

data

17/12/2006
62


Genere: Heavy Power
Etichetta: Stiarway Music
Anno: 2006

Quarto full length per gli Stairway, band che dal debut “No Rest: No Mercy”, datato 1993, segue con orgoglio la bandiera di un Metal ottantiano, nel songwriting quanto nel mixaggio, sanguigno ed in qualche maniera ingenuo. Sanguigno in quanto “The Other Side Of Midnight” trasuda passione e capacità interpretative fuori dal comune; ingenuo in quanto, al di là della difficoltà di piazzare un simile prodotto nel 2006, si evidenzia sin dal primo ascolto non solo la scuola di appartenenza, ma anche gli insegnanti specifici della band: fin troppo spesso, infatti, si ha l’impressione di dover cantare da un momento all’altro “Princess Of The Night”, ma se non ricordo male l’hanno già scritta i professori Saxon; le supplenze penso le tenessero invece i più melodici Judas Priest (“Burn”), mentre l’insegnante di canto doveva essere Ronnie James Dio (“Pray For The Children”). Ingenuo anche perché non siamo in molti ad apprezzare una produzione con pochi fronzoli, che riproponga suoni crudi e “sporchi” alla “Headless Cross” dei Black Sabbath (su “Burn”, per citare un esempio plateale). Certo si potrebbe sostenere che suonano per passione e non per il mercato, e che di conseguenza non ricerchino sonorità più commerciali: se così fosse, penso che troverei encomiabile il loro sforzo. Encomiabile, ma comunque poco redditizio. Ad uno sguardo complessivo, gli undici pezzi che compongono “The Other Side Of Midnight” si configurano come un tappeto ovattato che tende ad ammortizzare più che enfatizzare la carica dei singoli pezzi, complici la voce di Leslie e le ritmiche di Edwards: la prima non lavora sull’estensione, ma solo sulla costanza timbrica, dando l’idea di avere molto di più da dare, ma di non volerlo fare. Le seconde invece tendono ad essere troppo lineari per un miraggio che già di suo le sacrifica togliendo loro potenza: se il suono della batteria non fosse così “strozzato”, la linearità delle strutture sarebbe anche gradita; ma in questo caso il risultato è piatto, poco coinvolgente. Non si riesce a dare segnalazioni di brani di particolare interesse, proprio in quanto sono più o meno tutti sullo stesso livello, senza escursioni particolari lungo lo scorrere del disco: la conclusione cui si giunge dopo svariati ascolti di questo album è semplicemente che, nell’ottica della ricerca di un buon disco anni ’80, sia giusto prenderlo in considerazione; peccato che secondo il mio modesto parere ce ne siano prima mille altri più validi, non foss’altro che per il fatto di essere stati scritti vent’anni prima.

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