SLAYER: GOD HATES US ALL
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10/03/2003A quasi vent’anni dal loro esordio discografico, col quale urlavano al mondo il loro intento di non avere alcuna pietà (l’album era ovviamente “Show No Mercy”), gli Slayer sembrano voler confermare in pieno questa loro intenzione. Basta un titolo esplicito, senza giri di parole, com’è “God Hates Us All” per far capire a tutti noi che anche questa volta il gruppo comandato da Tom Araya fa sul serio. I fasti del loro capolavoro assoluto “Reign In Blood” sono ormai lontani, ma l’impatto dei quattro, per come fuoriescono dallo stereo le nuove canzoni, resta devastante: gli anni sono passati, nuovi generi musicali sono nati (e già morti), ma l’attitudine aggressiva degli Slayer è rimasta quella di un tempo. Il compito di aprire l’album è affidato ad una breve intro soffusa e claustrofobia, che lascia presagire la furia che arriverà, come nuvole scure all’orizzonte che promettono tempesta. “Disciple” è la prima vera traccia e piace già al primo ascolto, grazie ad un incedere marcato e ad un ritornello che sembra fatto apposta per coinvolgere al massimo il pubblico in sede live. Sul sentiero stilistico tipico degli Slayer si muovono anche “Exile”, “Here Comes The Pain” (che i nostri ci avevano fatto gustare in anteprima al Gods Of Metal del 2000) e la conclusiva “Payback”, tutte tracce potenti, supportate da una prova maiuscola di Bostaph, alla sua ultima registrazione ufficiale con gli Slayer, visto che di lì a poco dovrà abbandonare la band e sarà sostituito (per ora solo dal vivo) dal come back di Dave Lombardo, ormai divenuto divinità delle bacchette. Altri brani paiono discostarsi dalle classiche canzoni Slayeriane, delle quali conservano in ogni modo una potenza senza pari, per avvicinarsi maggiormente a territori post-hardcore (l’esempio per tutti è “Threshold”). Tradimento? Non scherziamo, l’impalcatura thrash sostiene ogni traccia di questo album, e comunque Araya e soci hanno sempre dichiarato il loro amore per certe sonorità hardcore-punk, e lo hanno rimarcato in modo palese anche nell’album di cover “Undisputed Attitude”. Anche in questi, per così dire, sconfinamenti in altri settori, gli Slayer si dimostrano all’altezza ed il risultato complessivo è più che discreto, e rappresenta un deciso passo avanti rispetto al precedente “Diabolus In Musica”, che a tratti risultava inconcludente. Chiariamoci, anche in questo nuovo episodio targato Slayer non mancano momenti di noia (è il caso di “Deviance” e di “Bloodline") e forse tredici canzoni sono un po’ troppe per un gruppo che ci aveva abituato ai ventinove infuocati minuti di "Reign In Blood"… Per il resto tutto funziona alla meraviglia, dall’ugola lancinante di Araya incisiva come sempre, ai due plettri killer di Kerry King e Jeff Hanneman, al doppio tuono di Bostaph. Un’ultima dovuta menzione a quella che reputo la canzone migliore di “God Hates Us All”, brano che potrebbe tranquillamente essere considerato il simbolo degli Slayer del nuovo millennio: sto parlando di “New Faith”. In questo pezzo veloce e compatto c’è tutta l’essenza di un gruppo che da vent’anni è uno dei massimi vertici di un genere: aggressività e rabbia accompagnano un testo dissacrante che ha il suo picco nella frase urlata da Araya a metà canzone “I keep the bible in a pool of blood, so that none of its lies can affect me”, che basta da sola per l’obbligo del "Parental Advisory – Explicit Lyrics". Questi sono gli Slayer, prendere o lasciare. Ovvio, il paragone col sopraccitato “Reign In Blood” non dovrebbe essere nemmeno proponibile, tanto grande è il divario qualitativo tra i due album, ma se vi piacciono gli Slayer allora dovete avere anche questo loro lavoro, e sono sicuro che comunque non vi lascerà totalmente indifferenti. Se invece non conoscete la band di Araya e Co. il consiglio è di pescare nella loro discografia degli anni 80, e vedrete che troverete tante altre cosucce interessanti.
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