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NEUROSIS: A SUN THAT NEVER SETS

data

04/01/2006
90


Genere: Rock
Etichetta: Relapse Records/Neurot
Anno: 2001

Esistono artisti capaci di comporre dischi importantissimi per l’evoluzione della musica, capaci di crescere in continuazione senza essere parte di un movimento musicale ben definito, bensì camminando con le proprie gambe e creandosi una personalità e una credibilità fuori dal comune, ponendo le basi per diventare un punto di riferimento per i musicisti futuri. Artisti ai quali è difficile, se non impossibile, attribuire un genere di appartenenza (quello da me posto è puramente indicativo) proprio grazie all’incredibile unicità della loro proposta. L’attività dei Neurosis, statunitensi, si registra sin dagli anni’80: un inizio su lidi hardcore che non tarda a mutare album dopo album, man mano acquisendo una fama e un’importanza enormi negli ambienti underground. Arrivano così a registrare “A Sun That Never Sets” totalmente consci dei propri mezzi e potenzialità (il disco è tra l’altro il primo ad essere per pubblicato per la Neurot, l’etichetta da loro stessi fondata per risultare ancora più indipendenti nel campo delle scelte musicali), tali da poter pubblicare un’opera innovativa e complessa. Alla furia rock originaria, i Neurosis fondono suoni ancora più primitivi, spesso più pacati ma non per questo meno carichi di tensione. Dopo “Erode”, un’intro caratterizzata da suoni alieni e caotici, è “ The Tide” ad aprire di fatto il disco: una parte acustica stupenda, melodica ma angosciante e tutt’altro che rassicurante, alla quale si aggiunge il suono di una viola, a creare un incredibile senso di desolazione; il tutto per poi esplodere nella parte elettrica, opprimente e rabbiosa grazie ad un riff Doom, mantenendo tuttavia quel feeling malinconico. Feeling malinconico che è un po’ il marchio di fabbrica di questa nuova incarnazione dei Neurosis: “From the Hill” è ancora pesante e trascinante, la musica è sempre omogenea, come un flusso magmatico che crea un senso di disagio all’ascoltatore, scarna ed essenziale ma allo stesso tempo ricca di sfumature, sempre diverse da cogliere ad ogni ascolto. Frequenti gli episodi acustici, che comunque mantengono l’atmosfera vagamente malsana e non smorzano mai la tensione. Interessante l’ausilio delle tastiere nella sopraccitata terza traccia, a creare un suono particolare e nervoso. La title-track rimane sempre sugli stessi stilemi sonori: parte soffusa, cresce poi semplice e lineare. Ma è il testo della canzone ad essere incredibilmente evocativo e cardine per la sorta di concept che lega tutto l’album, ovvero una riflessione sui legami di sangue e l’importanza e responsabilità dovuta alla discendenza dai nostri avi (“The blood that flows through me is not my own. The blood is from the past, not my own. The blood that leads my life is not my own. The blood is strength, I’m not alone.”) “From Where Its Roots To Run” è un bizzaro intermezzo dai connotati tribali, quasi un rituale. “Crawl Back In” esordisce con riffs dissonanti e tesi, ma è anche il pezzo in cui possiamo ascoltare un momento acustico dal quale filtra per la prima volta un raggio di luce, l’unico episodio in cui si abbandona l’angoscia a favore della speranza. “Watchfire”è un altro pezzo stupendo, di un’intensità fuori dal comune, un crescendo di pure emozioni. Segue “Resound”, una strumentale che ci accompagna, col suo suonare di campane, all’inizio della degna chiusura di questo capolavoro: “Stones From The Sky” è la canzone che riassume quanto detto dai Neurosis in questa magnifica raccolta di sensazioni glaciali e atmosfere desolanti. P.s.: il gruppo ha effettuato un interessantissimo esperimento, lavorando ad un dvd del disco che contiene un video per ogni brano, un’esperienza singolare e piuttosto ostica in tutta sincerità da interpretare, legata alla meditazione, degna di nota e sicuramente curiosa per chi volesse provare qualcosa di innovativo.

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