MANOWAR: FIGHTING THE WORLD
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09/03/2004La celebre "pietra dello scandalo", il disco che ha sconvolto legioni di fans presentando al mondo un'altra faccia dei cromatissimi Manowar: una faccia allegrotta, rockeggiante, che strizza volentieri l'occhio alla melodia. Tradimento? Commercializzazione? A prima vista sì. In realtà, "Fighting the World", pur trasformando il Manowar sound e aprendolo a orizzonti del tutto nuovi, rimane un ottimo lavoro di metallo rombante e coinvolgente, estremizzando l'aspetto più "catchy" dei Manowar, perdendo in epicità, ma riuscendo comunque a convincere. Anche il sound è rimodernato e ripulito, anche se non patinato e raffinato come lo sarà in futuro, ma comunque più nitido e decisamente lontano dalle coordinate dell'epic metal. Il disco da una parte segna un ritorno alle origini heavy rock della band, dall'altra ci mostra quale strada i nostri prenderanno (a dire il vero con minor fortuna) nell'immediato futuro, ovvero quella di un heavy speed aggressivo e d'impatto, con pochi compromessi ma purtroppo altrettanto pochi richiami alla genuinità del passato. Chiaramente in questo disco c'è una grande attenzione alla forma canzone: i pezzi funzionano bene, sono strutturati su melodie ficcanti e spesso anthemiche, come l'opener "Fighting the World" o lo storico inno "Carry On", per non parlare di quella "Blow Your Speakers" che è pura tamarraggine messa in musica, e può addirittura ricordare i Kiss per l'immediatezza e la sfacciataggine. Come sempre però i nostri fanno attenzione a non dimenticare il loro passato, e così troviamo anche un pezzo epicissimo ma rivisto con la sensibilità moderna dei nuovi Manowar, ovvero quella "Holy War" a torto mai ricordata tra i grandi episodi della band di New York. Delude invece la riproposizione di Defender, storico classico dei tempi di Into Glory Ride, in cui ancora una volta la voce di Orson Welles (alla cui memoria è dedicata questa nuova versione) è sugli scudi insieme a una sentitissima interpretazione di Adams, purtroppo supportate da una sezione strumentale decisamente freddina e non coinvolgente come l'originale. Il disco si chiude con una delle canzoni topiche della band, quella "Black Wind Fire and Steel" posta spesso in chiusura dei loro concerti, un autentica mazzata di speed metal feroce e irresistibile, giocata su un ritornello vincente e su un epos battagliero mediato dall'attitudine quasi power di una band che se ha abbandonato il suo passato epic, si mostra comunque sempre in buona forma. "Fighting the World" è in sintesi un disco che va preso per quello che è: un ottimo pezzo di metallo melodico con richiami epici e speed, senza dubbio ben fatto, il cui unico difetto è quello di lasciar rimpiangere i vecchi lavori della band. Per certi versi può ricordare l'esordio "Battle Hymns", ma la vera colpa di questo disco è quella di aver aperto la strada a una stagione della band che seppur ci regalerà grandi episodi di metal diretto, senza fronzoli e coinvolgenti, perderà la genialità dei lavori del passato. Comunque sia, "Fighting the World" rimane il disco perfetto per la macchina, la moto o per una sana festa a base di Rock, Drink and Fuck! E inoltre, come dimenticare la stupenda dichiarazione di guerra al False Metal in retrocopertina?
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