HYPOCRISY: VIRUS
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21/09/2005Peter Tägtgren deve essere una sorta di maestro nella gestione del tempo personale; in un anno e mezzo ha pubblicato due dischi con gli Hypocrisy (scrivendo praticamente tutti i brani), è andato in tour con gli stessi e con i Pain, e nei ritagli ha prodotto il nuovo Destruction e il prossimo Celtic Frost. “Virus” segue “The Arrival” proprio di un anno e mezzo scarso, fattore che avrebbe potuto far dubitare della qualità intrinseca dal lavoro. Fortunatamente il nuovo platter si dimostra a più riprese convincente, vario ed eterogeneo al punto giusto. Tutte le influenze e i passaggi attraversati dalla band sono miscelati con sapienza e portati su un livello di innovazione non indifferente; la violentissima opener “Warpath” potrebbe essere tranquillamente definita come ‘il black metal melodico riletto dagli Hypocrisy’ mentre pezzi come “Let The knife Do The Talking”, “A Thousand Lies” o “Incised Before I’ve Ceased” riprendono il discorso di “Eraser” sposando melodia e pesantezza. Contriamente al suo predecessore infatti, “Virus” spazia moltissimo tra velocità, passaggi più heavy e melodie tipicamente swedish (quando “The Arrival” si limitava a mostrare la faccia più riflessiva e ‘rock’ del combo) che toccano l’apice nell’ottima “Scrutinized” e in “Compulsive Psychosis”, con un’intermezzo solista che vale tutto il brano. C’è spazio anche per una canzone Pain-oriented, la conclusiva “Living To Die”, nella quale il growl è solo un ricordo perso nella performance da incorniciare di Peter. Può effettivamente preoccupare questa iperattività degli Hypocrisy anche a fronte di qualche brano che sembra composto troppo in fretta (“Fearless”, “Craving For Another Killing”, “Blooddrenched”), ma l’unica cosa da fare a tal proposito è aspettare il prossimo lavoro della band constatando che, ora come ora, il nuovo “Virus” è ben superiore a “The Arrival”, in barba al poco tempo trascorso.
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